Il Parkinson ha origine dall’intestino
di Maria Rita Montebelli
Partendo dall’intuizione dell’anatomopatologo tedesco Braak, un gruppo di ricercatori della Johns Hopkins ha messo a punto un modello murino, che l’ha confermata in pieno. Il Parkinson avrebbe origine nell’intestino, dove si formerebbero aggregati della proteina patologica alfa-sinucleina che poi risalirebbero, come per una scala, sfruttando le terminazioni dal nervo vago, verso le aree cerebrali dove si trovano i neuroni produttori di dopamina (subtantia nigra), determinandone così la morte. Riuscire a bloccare la risalita di queste proteine verso il cervello nelle fasi precoci di malattia, potrebbe significare prevenire o arrestare la progressione del Parkinson
26 GIU - La notizia viene da uno studio pubblicato su
Neuron a firma di
Sangjune Kim e colleghi del Johns Hopkins Medicine ed è rivoluzionaria. Alcuni esperimenti condotti su modelli animali (topi) dimostrano che il Parkinson origina da alcune cellule dell’intestino, per poi risalire, attraverso il nervo vago, fin nel cervello per andare a colpire i neuroni produttori di dopamina. Questa straordinaria evidenza offre alla scienza un modello accurato e innovativo sul quale testare trattamenti che potrebbero prevenire o arrestare la progressione di questa malattia.
“Questo studio – afferma
Ted Dawson, direttore del Johns Hopkins
Institute for Cell Engineering e professore di neurologia alla Johns Hopkins - fornisce ulteriori evidenze del ruolo che l’intestino gioca nel morbo di Parkinson e costituisce allo stesso tempo un nuovo modello per studiare la progressione di questa malattia, fin dalle primissime fasi”.
Alfa-sinucleina ‘mal ripiegata’: la proteina patologica alla base del Parkinson
La caratteristica anatomopatologica del Parkinson sono gli aggregati di forme mal ripiegate della proteina neuronale alfa-sinucleina e la morte selettiva dei neuroni produttori di dopamina in una piccola regione del cervello, la
pars compacta della
substantia nigra. La moria dei neuroni di quest’area determina i sintomi motori del Parkinson (tremori, rigidità, movimenti rallentati, turbe dell’equilibrio, alterazioni del linguaggio e della coordinazione). Non esistono al momento terapie risolutive.
I primi studi sull’origine intestinale del Parkinson
Lo studio appena pubblicato ha le sue radici nelle ricerche del neuroanatomista
Heiko Braak che nel 2003 aveva dimostrato come le persone con Parkinson presentino degli accumuli della proteina alfa-sinucleina incorrettamente ripiegata (misfolded) in alcune zone del sistema nervoso deputate al controllo dell’intestino. La comparsa di queste proteine danneggia-neuroni coincide con il riscontro di alcuni sintomi precoci del Parkinson, quali la stipsi. Braak aveva ipotizzato che la malattia di Parkinson progrediva ‘risalendo’, come lungo una scala, lungo i nervi che collegano l’intestino al cervello.
Da allora si sono andate accumulando sempre più evidenze dell’esistenza di una
connessione intestino-cervello, alla base di questa malattia. Alcune ricerche hanno dimostrato che le proteine alfa-sinucleina mal ripiegate fossero in grado di risalire verso la base del cervello, attraverso il nervo vago.
Gli esperimenti della Johns Hopkins: iniezioni di alfa-sinucleina nell’intestino e resezione del nervo vago
Partendo da questa base, i ricercatori della Johns Hopkins hanno iniettato 25 microgrammi di alfa-sinucleina ‘malripiegata’ nell’intestino di una dozzina di topi in buona salute. A distanza di 1, 3 , 7 e 10 mesi dall’iniezione, i ricercatori americani sono andati ad analizzare dei campioni di tessuto cerebrale dei topi, evidenziando così che l’alfa-sinucleinasi andava accumulando nelle terminazioni intestinali del nervo vago per poi diffondersi in varie zone del cervello.
Gli autori dello studio sono andati quindi a ripetere l’esperimento (iniezione di alfa-sinucleina mal ripiegata a livello intestinale) utilizzando animali ai quali era stato reciso il nervo vago. A distanza di sette mesi, gli animali non mostravano alcun danno a livello cerebrale; la conclusione dei ricercatori è stata dunque che la recisione del nervo vago impediva la diffusione verso il cervello della proteina patogena.
In un’altra parte dell’esperimento, i ricercatori sono andati a valutare la corrispondenza tra
progressione della malattia e alterazioni comportamentali, esaminando tre gruppi di animali: topi iniettati con alfa-sinucleina mal ripiegata, topi iniettati con la proteina patologica e ai quali veniva sezionato il nervo vago, gruppo di controllo (topi non iniettati e con nervo vago integro).
A distanza di sette mesi dall’iniezione di alfa-sinucleina gli autori dello studio sono andati a valutare la capacità di costruire una tana da parte degli animali, fornendo loro 2,5 grammi di materiale adatto e osservandoli per 16 ore; alla capacità ‘costruttiva’ veniva quindi assegnato un punteggio da 0 a 6. I topi iniettati e con nervo vago intatto sono risultati quelli con la peggior attitudine alla costruzione di un rifugio (il loro punteggio era costantemente inferiore a 1, mentre gli animali degli altri due gruppi totalizzavano 3 o 4); a differenza degli altri due gruppi che utilizzavano sempre tutto il materiale ‘da costruzione’ fornito, i topi iniettati con alfa-sinucleina misfolded ne utilizzavano meno di un grammo. Questo esperimento - commentano gli autori - sta a dimostrare che questi animali, esattamente come avviene nell’uomo, con la progressione della malattia presentano un deterioramento del controllo dei movimenti fini.
Un altro esperimento è andato a misurare i
livelli di ansia dei topi, monitorando la loro reazione ad un nuovo ambiente. Il topo veniva posto in una grande scatola aperta dove una telecamera monitorava costantemente la loro capacità di esplorazione. I topi in salute si mostravano curiosi ed esploravano ogni parte del nuovo ambiente; quelli affetti da declino cognitivo al contrario erano più ansiosi e tendevano a rifugiarsi verso i bordi coperti della scatola, più che ad esplorarne il centro. Secondo i ricercatori anche questo tratto ansioso è caratteristico dei pazienti con Parkinson.
Le ricadute dello studio: verso una terapia per il Parkinson
I risultati di questo studio dimostrano dunque che
l’alfa-sinucleina mal ripiegata nei topi si può ‘trasmettere’ dall’intestino al cervello, risalendo il nervo vago; il blocco di questa via di comunicazione potrebbe aiutare secondo gli autori di questa ricerca a prevenire le manifestazioni fisiche e cognitive del Parkinson e potrebbe dunque rappresentare un target terapeutico per le prime fasi della malattia. Resta però da scoprire quali parti del nervo vago consentono la risalita delle proteine patologiche verso il cervello e come bloccarla.
Maria Rita Montebelli
26 giugno 2019
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