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Una playlist personalizzata per i pazienti con demenza

di Carolyn Crist

La musica tocca parti del cervello che non vengono compromesse dalla demenza ed è capace di suscitare ricordi ed emozioni, che rimangono integri sotto il macigno della patologia neurodegenerativa. Partendo dall’approfondimento di questo aspetto, la charity Play List for Life e l’Università di Edimburgo suggeriscono di creare una playlist personalizzata per ciascun paziente, tenendo presenti tre passaggi importanti

25 GIU - (Reuters Health) – Una playlist personalizzata, che faccia tornare alla mente ricordi dell’infanzia e momenti felici, può dare serenità ai pazienti con demenza, n quanto la musica va ad attivare parti del cervello non interessate dalla malattia. A questa conclusione è giunto uno studio condotto dall’Università di Edimburgo e dalla charity Playlist for Life di Glasgow. Lo studio è stato pubblicato da Lancet Neurology.
 
Attraverso il suo programma Music Detective, Playlist for Life incoraggia le famiglie a parlare ai parenti per capire quali brani facciano loro ricordare momenti felici. I volontari di Playlist for Life non sono musico-terapeuti qualificati, ma aderiscono alla quinta edizione del protocollo Gerdner sviluppato presso l’Università di Stanford.

Per creare una playlist a scopo terapeutico, gli autori dello studio raccomandano tre passaggi. Primo, cercare le canzoni preferite dalla persona quando aveva tra i 10 e i 30 anni, età duranti la quale si formano molti ricordi che diventano poi fondamentali. Secondo, aggiungere tracce di “eredità” che derivano dai ricordi dell’infanzia o che hanno a che fare con amici o ex partner. Terzo, aggiungere tracce “identitarie” che si ricollegano a patrimonio, nazionalità ed etnia.

“Le persone con demenza hanno emozioni vive che possono essere recuperate, anche in fasi avanzate, e ciò può contrastare la convinzione che la demenza distrugga la personalità e cancelli quel che rende un individuo unico”, dice Antonio Cherubini dell’Istituto Nazionale di Riposo e Cura per Anziani di Ancona, non coinvolto nello studio.

“La maggior parte dei pazienti sviluppa disturbi comportamentali, non solo agitazione e comportamenti difficili, ma anche apatia e depressione”, continua Cherubini. “I farmaci non sono molto efficaci per trattare queste manfiestazione e hanno effetti collaterali, quindi dovrebbero essere valutate e implementate terapie non farmacologiche efficaci”.

Fonte: Lancet Neurology 2019

Carolyn Crist

(Versione Italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

25 giugno 2019
© Riproduzione riservata

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