“Grazie ai biosimilari nei prossimi 5 anni risparmi sanitari medi di quasi 60 mln l’anno e cumulati di 450 mln”. Il Report Iqvia
Il provider globale di informazioni in campo sanitario analizza il mercato dei biosimilari e il suo impatto sul Sistema sanitario nazionale. L’evoluzione dei farmaci biosimilari negli ultimi 10 anni, spiega il report, ha reso ormai chiaro e condiviso il ruolo fondamentale che questi prodotti hanno nel circolo virtuoso dell’innovazione farmaceutica e nella sostenibilità dei sistemi sanitari. "L’avvento della terza wave di biosimilari libererà sicuramente risorse economiche importanti, da reinvestire".
03 LUG - Secondo lo studio di Iqvia "Farmaci biologici e biosimilari: scenari terapeutici e stima del risparmio per il Sistema Sanitario italiano", la competizione indotta dall’ingresso dei biosimilari nel mercato ha contribuito a una riduzione dei prezzi e a una maggiore sostenibilità del trattamento, introducendo per i prossimi 5 anni una prospettiva di risparmio medio e cumulato significativo per il Sistema sanitario nazionale.
Ipotizzando una riduzione del prezzo del 20% dettata dalla competizione diretta dei biosimilari per gli otto biologici identificati (adalimumab, trastuzumab, bevacizumab, oxaparina sodica, insulina lispro, ranibizumab, teriparatide e pegfilgrastim), "il risparmio medio generato è pari a quasi 60 milioni di euro per anno. Nello stesso periodo, il risparmio cumulato potrà variare tra 299 milioni di euro fino a 448 milioni di euro, nell’ipotesi di uno scenario di riduzione dei prezzi pari al 30%".
L’evoluzione dei farmaci biosimilari negli ultimi 10 anni, spiega il report, ha reso ormai chiaro e condiviso il ruolo fondamentale che questi prodotti hanno nel circolo virtuoso dell’innovazione farmaceutica e nella sostenibilità dei sistemi sanitari. L’avvento della terza wave di biosimilari, attesi nei prossimi anni, libererà sicuramente risorse economiche importanti, da reinvestire in servizi sanitari a sostegno dell’innovazione.
In Italia, il valore del mercato dei principali prodotti biologici che hanno perso o perderanno la protezione brevettuale tra il 2017 e il 2022 è significativo: considerando gli otto medicinali biologici indicati si raggiunge un valore totale nell’anno 2017 che supera 1 miliardo di euro.
Dal punto di vista dei Payer questo valore rappresenta un importante obiettivo a cui guardare. Con riferimento agli otto medicinali biologici originator di cui sopra, nei prossimi cinque anni si stima una spesa cumulata che raggiunge quasi i 6,5 miliardi di euro, nell’ipotesi di assenza di competizione da parte di alcun biosimilare.
A livello globale, il report sottolinea come negli ultimi 5 anni il mercato dei farmaci biologici sia cresciuto del 57% a fatturato, fino a raggiungere i 267 miliardi di dollari, passando dall’8% di market share nel 2012 ad una crescita dell’11% nel 2017. Il mercato dei biologici evolverà nei prossimi 5-10 anni grazie a due principali fattori: l’introduzione di farmaci biologici in aree terapeutiche in cui sono finora stati assenti e la competizione con i biosimilari.
I farmaci biosimilari, come tutti i prodotti di origine biotecnologica, sono approvati e autorizzati per l’immissione in commercio attraverso una procedura centralizzata nella quale i comitati scientifici di Ema valutano gli studi di comparabilità del biosimilare con il farmaco originator.
Il
Secondo Position Paper Aifa pubblicato alla fine di marzo 2018 ha ribadito la possibilità di interscambiare i farmaci biosimilari con gli originator anche nei pazienti già in cura, poiché il rapporto rischio-beneficio dei biosimilari è il medesimo di quello degli originatori di riferimento.
Il contesto europeo
Per quanto riguarda l’Europa, nel 2017 l’uptake dei biosimilari è diverso da Paese a Paese: in quattro paesi dell’EU (Finlandia, Norvegia, Polonia e Danimarca), Infliximab ha raggiunto il 100% dell’uptake mentre nei paesi extra-europei non ha superato il 5%. Etanercept in Danimarca ha raggiunto la copertura totale dei pazienti, mentre in Francia e Spagna si è assestata sotto il 10%. Altri farmaci, come l’insulina glargine, hanno avuto una diffusione minore, o nel caso di lancio più recente come Rituximab, adozioni eterogenee, con quasi il 70% in UK e solo 10% in Spagna.
La situazione in Italia
Nell’Europa a 5, l’Italia si colloca in una posizione medio-alta nella classifica relativa alla penetrazione dei biosimilari. Con riferimento a infliximab, per il quale il primo biosimilare è stato lanciato nel 2015, l’Italia ha raggiunto una penetrazione del 60,9% nel 2017. La situazione resta frammentata: l’uso dei biosimilari è preponderante per quanto riguarda epoietina (69% market share), ormone della crescita (67%) e G-CSF (94%), mentre per anti-TNF (34%), FSH (11%) e insulina glargine (15%), la quota è ancora limitata.
A livello locale, le Regioni che per prime hanno emanato regolamenti e instaurato politiche volte a promuovere l’ingresso dei biosimilari nei piani terapeutici hanno un’alta penetrazione di biosimilari (Toscana, Emilia-Romagna, Campania, Sicilia e il Piemonte/Val d’Aosta). Al contrario, le Regioni che hanno stilato regolamenti tardivi e poco focalizzati hanno una bassa penetrazione dei biosimilari (Lazio, Umbria, Sardegna e, con l’eccezione di anti–TNF, Lombardia). Il Trentino e la Liguria hanno prodotto regolamenti poco focalizzati, ma sono riuscite a ottenere un market share per i biosimilari superiore alla media nazionale del 25%, mentre le altre Regioni, pur promuovendo politiche mirate a favore dell’uso di questi farmaci, mantengono una penetrazione del mercato bassa.
03 luglio 2018
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