Malati di (troppi) farmaci. Negli ultimi 20 anni moltiplicate le prescrizioni per molte patologie: dal diabete alle displipidemie
di Maria Rita Montebelli
La medicalizzazione di massa è una deriva della strategia di popolazione, teorizzata da Geoffrey Rose, che ha portato a trattare milioni di persone affette da diabete, dislipidemie, ipertensione con risultati dubbi sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari. Ad essere aumentati di sicuro sono invece gli effetti indesiderati da farmaci. Un medico di famiglia in pensione punta il dito contro questa ‘iatrogenesi da polifarmacia’
01 LUG - E’ un articolo volutamente provocatorio, a cominciare dal titolo – ‘La medicalizzazione di massa è una catastrofe iatrogena’ - ma anche ricco di spunti di riflessione. Per medici e pazienti. A firmarlo è
James Le Fanu, un medico di famiglia inglese in pensione che, dalle pagine del
British Medical Journal, punta il dito sull’epidemia silenziosa di effetti indesiderati provocata dall’eccesso di medicalizzazione, a fronte di benefici spesso assenti nella maggior parte dei ‘consumatori seriali’ di farmaci.
Un problema che rientra nella crisi esistenziale generale della medicina del terzo millennio, secondo l’autore, che ricorda come nell’arco degli ultimi 20 anni si sia assistito ad un aumento vertiginoso della prescrizione di farmaci di ogni genere: 4 volte in più nel campo del diabete, 7 volte in più in quello dell’ipertensione arteriosa, fino al record di 20 volte tanto nel caso delle dislipidemie, conseguente all’introduzione delle statine.
E ad aumentare di quattro volte è stato anche il numero dei pazienti che assumono 5 o più farmaci contemporaneamente, con tutti gli annessi e connessi dei pericoli della
poly-pharmacy, anche considerato il fatto che la categoria dei grandi consumatori di farmaci, per una buona metà, ricade oltre la soglia dei 65 anni.
A fronte di questa ‘epidemia’ prescrittiva, non sorprende dunque secondo l’autore, l’ondata di
fatigue, dolori muscolari, insonnia e malesseri vari che affliggono sempre più pazienti. A denunciarlo sono anche i numeri. Sarebbero aumentati di oltre 30 mila l’anno (+ 75%) gli accessi al pronto soccorso per reazioni indesiderate a farmaci, mentre in parallelo, sempre in Gran Bretagna, è andata calando l’aspettativa di vita (un eccesso di 600 morti in più a settimana).
Insomma, ci troviamo al cospetto di una nuova entità nosologica: la ‘iatrogenesi da polifarmacia’.
Alle radici di questo fenomeno c’è il fatto che ad essere malato non è il singolo individuo ma la società nel suo complesso: siamo in troppi insomma ad avere pressione alta, colesterolo elevato, glicemia alle stelle. C’è qualcosa che non va evidentemente. E la ricetta per uscire da questo disastroso
empasse è molto semplice, banale, tale da scatenare quasi l’orticaria a sentirne di nuovo parlare. Si chiama ‘prevenzione’ ed è una parola magica, sebbene abusata, inflazionata e, secondo l’autore, anche molto fraintesa.
Il concetto di ‘prevenzione’ infatti va interpretato correttamente. E non come fece a suo tempo l’epidemiologo inglese
Geoffrey Rose con il suo
Sick individuals and sick populations e il successivo
The Strategy of Preventive Medicine. La tesi di Rose che invoca una ‘strategia di popolazione’, per far fronte all’epidemia di fattori di rischio da arginare prima che questi producano ‘malattia’ – sottolinea l’autore - non si basa infatti su una prevenzione basata sulla correzione degli stili di vita (in quegli anni tra l’altro lo studio Glyncorrwg condotto nel Galles del Sud aveva stabilito che tenere la popolazione a restrizione di sodio non garantiva un beneficio apprezzabile sulla pressione arteriosa), ma su un approccio farmacologico.
Ed ecco dunque – afferma Le Fanu – servito su un piatto d’argento all’industria del farmaco, il razionale teorico per raggiungere il suo obiettivo di ‘medicalizzazione di massa’: dare la priorità al trattamento di tanti – sia pure per il nobile scopo della prevenzione – anziché di pochi. Uno ‘stretto allineamento delle priorità di salute pubblica al razionale teorico dell’obiettivo della medicalizzazione di massa dell’industria del farmaco’, ottenuto abbassando la soglia dell’inizio del trattamento, così da includere anche quelli con valori (di colesterolo, pressione arteriosa, glicemia) solo lievemente alterati.
Un semplice espediente insomma – prosegue l’autore – quello di ridefinire la soglia del diabete, dell’ipertensione e dell’ipercolesterolemia, che ha prodotto in men che non si dica un aumento della prevalenza di queste condizioni negli USA rispettivamente del 14%, del 35% e dell’86% . E così, da un giorno all’altro, ecco spuntare fuori 56 milioni di nuovi pazienti, un terzo della popolazione complessiva degli Stati Uniti. E lo strumento statistico – è sempre l’autore a parlare – che ha consentito all’industria del farmaco di legittimare scientificamente questo artificio di marketing, sono le cosiddette ‘3R’, la
relative risk reduction, una lente di ingrandimento che fa sembrare enorme anche il più modesto dei benefici assoluti di un trattamento.
Ma – riflette Le Fanu – prima o poi, arriva sempre il momento del
redde rationem. A partire dal 2004, sulla scia di questa ‘strategia di popolazione’, con l’introduzione del
Quality and Outcomes Framework, in Gran Bretagna, si sono cominciati a premiare con incentivi i medici di famiglia che raggiungevano i
target terapeutici nei pazienti da loro trattati. E questo, secondo la strategia di Rose, dovrebbe aver avuto come ricaduta una riduzione delle patologie cardiovascolari. Ma I numeri raccontano un’altra storia. Questi benefici attesi non ci sono stati.
Ma nonostante queste evidenze - preconizza Le Fanu – non sarà facile uscire dalla logica della ‘strategia di popolazione’, così cara non solo all’industria del farmaco, ma anche a eminenti epidemiologi. Non sarà facile insomma liberarsi dalla medicalizzazione di massa, anche perché - conclude l’autore citando
Michael Marmot - “la strategia di popolazione è così ampiamente accettata da rendere difficile capire quanto sia radicale.”
Maria Rita Montebelli
01 luglio 2018
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