Il convegno monotematico avrà luogo presso l'Aula Magna dell'Università degli Studi dell'Insubria - Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita, a Varese. I ricercatori e i docenti che si alterneranno provengono dall'Università di Milano, da quella di Cagliari, Ferrara, Palermo, dalla Sapienza di Roma, Bologna, Catania, Verona, Firenze, Camerino, Teramo e naturalmente da quella dell’Insubria.
Un ricco mercato di oltre 450 “Nuove Sostanze Psicoattive” (Nsp) ha recentemente raggiunto l’utenza, giovane e meno giovane: a fianco di eroina e cocaina anche i derivati delle amfetamine e molecole sempre nuove, ottenute con piccole modifiche e quindi capaci di eludere test diagnostici ed eludere la legislazione che fatica a rincorrerli per inserirli nelle tabelle delle sostanze vietate. Poi ci sono i cannabinoidi sintetici. Mentre la marijuana “naturale”, tradizionale, contiene il principio attivo stupefacente Thc generalmente tra il 5 ed il 7% (ma in alcuni casi fino al 10/15%) i prodotti a base di cannabinoidi sintetici sono costituiti da trinciati di erbe che possono avere o non avere proprietà psicoattive ma a cui vengono aggiunte molecole capaci di stimolare il sistema nervoso in modo molto più potente del Thc. I cannabinoidi sintetici hanno un’affinità recettoriale molto più elevata del Thc e vengono spesso commercializzati sotto forma di miscele di erbe e sostanze vegetali, definite anche come herbal mixture o herbal blend, incensi o profumanti per ambienti. I consumatori spesso ritengono di assumere prodotti naturali simili alla cannabis, mentre in realtà gli effetti di queste molecole di sintesi sono molto più potenti, più duraturi e più tossici e con maggiore rischio di provocare danni irreversibili. Il mercato – che oggi non è più tanto la strada quanto il Web, quindi più raggiungibile perché meno pericoloso e accessibile a tutti – è in pericolosa espansione.
Oltre ai cannabinoidi sintetici altre sostanze nuove sono, chimicamente, piperazine, catinoni, fenetilamine, benzofurani, derivati della ketamina, sostanze di origine vegetale e agenti performanti. Sono potenzialmente mortali e tutte capaci di produrre gravi sindromi psicotiche.
“Nell’adolescente i danni delle sostanze d’abuso sono potenzialmente maggiori che nell’adulto – spiega Daniela Parolaro, dell'Università degli Studi dell’Insubria e Fondazione Zardi Gori, membro del comitato scientifico e organizzativo del convegno – perché il cervello è in forte 'crescita' ancora per tutta l’adolescenza e dunque l’esposizione a sostanze dannose può facilmente creare, in questa fase, danni allo sviluppo neuronale e predisporre a malattie psichiatriche come schizofrenia e depressione”. Adolescenti più a rischio, dunque, anche perché naturalmente più propensi: “L’area del cervello stimolata dalle sensazioni piacevoli è già strutturata nell’adolescente mentre la corteccia, che ha invece il compito di 'filtrare' e tenere a bada questi impulsi matura soltanto intorno ai 20 anni”. I più giovani corrono un pericolo maggiore, inconsapevolmente portati da una biologia che li espone alle lusinghe del benessere artificiale.
“La farmacologia delle dipendenze sconta, in Italia, una mancanza di adeguati finanziamenti in misura più grave rispetto ad altre linee di ricerca – prosegue Parolaro – perché apparentemente sembra non esserci un ritorno economico immediato per i prodotti che ne deriveranno. Questo freno ci lascia indietro nella prevenzione di un fenomeno così serio come quello dell’abuso delle sostanze tossiche”. La strategia al contrasto rimane pertanto quella della comunicazione sociale e del contenimento, che però come suggerisce anche la cronaca quotidiana risulta assolutamente insufficiente. “In Italia la tossicodipendenza non è ancora considerata una malattia – conclude l’esperta – , viene percepita come la devianza di persone mal adattate alla società, invece l’abuso di sostanze non ha semplicemente radici comportamentali, ma anche genetiche”.
È stato dimostrato, per esempio, che la tendenza a fare uso compulsivo di marijuana è favorita negli individui che recano una alterazione al gene che esprime il recettore per il Thc. Discorso analogo per quanto riguarda le altre droghe. Sebbene quindi i fattori ambientali siano determinanti è, in ultima analisi, la nostra neurobiologia ad esporci all’abuso. Si tratta pertanto di una vera e propria malattia che ha bisogno di finanziamenti per essere caratterizzata, compresa e affrontata con nuovi strumenti.
Lorenzo Proia
01 giugno 2018
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