Studio Usa: lavorare di notte ‘sballa’ le concentrazioni di 129 proteine del sangue
di Maria Rita Montebelli
Stare svegli e mangiare di notte, come accade ad esempio facendo un turno lavorativo notturno può provocare conseguenze spiacevoli per la salute, quali un maggior rischio di sviluppare diabete e obesità. A dimostrarlo è una sofisticata ricerca dell’università del Colorado che dimostra come i livelli di una serie di proteine circolanti (quali glucagone e FGF19) siano influenzati dall’inversione del ritmo giorno-notte
22 MAG - Invertire il ritmo giorno-notte, cioè stare svegli durante la notte e dormire durante il giorno, per diletto o per lavoro, non giova alla salute. Per vari motivi. L’ultimo lo spiega una ricerca della University of Colorado, pubblicata su
PNAS, dalla quale emerge che bastano pochi giorni di inversione del ritmo sonno-veglia per disturbare il ritmo circadiano di oltre 100 proteine circolanti. Tra queste anche alcune molto importanti per il metabolismo glucidico, energetico e per il sistema immunitario.
“Le evidenze emerse da questo lavoro – commenta
Kenneth Wright, direttore del Laboratorio Sonno e Cronobiologia della University of Colorado – suggeriscono che quando siamo soggetti a jet lag o effettuiamo una turnazione lavorativa notturna di un paio di giorni, andiamo ad alterare molto rapidamente la nostra fisiologia in una maniera che, se persistente, può diventare dannosa per la salute”.
Si tratta del primo studio che è andato a esaminare le variazioni dei livelli delle proteine circolanti (il cosiddetto proteoma plasmatico) nell’arco delle 24 ore e il modo in cui le alterazioni del sonno e dell’orario dei pasti possano influenzarli. Sempre lo stesso studio ha evidenziato che esistono almeno 30 proteine che, a prescindere dal timing del sonno e dei pasti, oscillano in base al ritmo circadiano interno.
La ricerca. Gli autori hanno reclutato sei maschi ventenni ai quali è stato chiesto di trascorrere sei giorni presso il centro di ricerche traslazionali cliniche dell’Università del Colorado, dove gli orari dei pasti, del sonno, l’attività fisica e l’esposizione al sole erano strettamente controllati. I primi due giorni i sei volontari seguivano una tabella oraria ‘normale’, poi venivano gradualmente avviati ad una transizione che simulava un ritmo di lavoro notturno (veniva data loro la possibilità di dormire per otto ore durante il giorno, mentre di notte venivano tenuti svegli e data loro la possibilità di mangiare). Ogni 4 ore venivano sottoposti ad un prelievo di sangue per valutare i livelli e i pattern circadiani di 1.129 proteine. Durante tutto il tempo di osservazione i soggetti sono stati esposti ad una luce tenue, per evitare che la luce stessa influenzasse i risultati. Da questa corposa ricerca sono state individuate 129 proteine i cui pattern risultavano disturbati dalla veglia notturna.
Le proteine ‘sballate’ dall’inversione del ritmo notte-giorno. Già dal secondo giorno i ricercatori hanno cominciato a vedere delle proteine che normalmente presentano un picco di concentrazione durante il giorno, raggiungere lo zenit durante la notte e viceversa.
Una di queste è il
glucagone, ormone prodotto dalle cellule alfa pancreatiche che, attivando la glicogenolisi epatica, provoca il rilascio di glucosio nel sangue. Quando i volontari restavano svegli la notte, i livelli di glucagone non solo raggiungevano lo zenit durante la notte anziché nelle ore diurne, ma il picco era mediante più alto del solito. Questo – secondo gli autori dello studio - spiegherebbe perché, i lavoratori che fanno turni di notte, a lungo andare tendono a mostrare tassi di diabete più elevati.
Anche i livelli di
FGF19 (
fibroblast growth factor 19), una proteina che nei modelli animali si è dimostrata in grado di facilitare il consumo energetico, cioè di bruciare le calorie, risultano ridotti nella schedula di simulazione del lavoro notturno. Questo potrebbe spiegare perché i volontari nel periodo in cui venivano sottoposti all’inversione del ritmo giorno-notte, bruciavano in media il 10% di calorie/minuto in meno.
Dallo studio è emerso che
30 proteine mostrano un chiaro ritmo circadiano e che per la maggior parte di loro i livelli più elevati si registrano tra le 14 e le 21.
Le ricadute dello studio. Si tratta di risultati che potrebbero portare a nuovi trattamenti per i ‘turnisti’ che rappresentano il 20 per cento almeno della forza lavoro globale e che, in virtù dei loro orari di lavoro, sono a maggior rischio di diabete e di tumore. Ma non solo. Questi risultati potrebbero un giorno aiutare i medici ad individuare il miglior orario di somministrazione di farmaci, vaccini e test diagnostici, nell’arco delle 24 ore. Anche gli orari dei prelievi di sangue, in epoca di medicina di precisione, andrebbero differenziati in maniera da cogliere il picco di secrezione delle varie proteine.
Maria Rita Montebelli
22 maggio 2018
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