HIV. Associazioni sieropositivi interrompono seduta inaugurale di Icar 2018: “Tagli alla spesa pregiudicano cure e assistenza”
“In Italia non è garantito un adeguato percorso di cura e di sostegno sociale alle persone con Hiv”, lo hanno sottolineato questa sera a Roma diversi rappresentanti delle associazioni delle persone sieropositive irrompendo nella sala dell’Ergife dove si stava svolgendo la seduta inaugurale di Icar, uno dei più importanti appuntamenti italiani sull’Hiv-Aids
22 MAG - Le comunità delle persone sieropositive rivendicano “il diritto a una vita dignitosa che i tagli alla sanità rendono sempre più un miraggio per molti”.
Lo hanno dichiarato con forza i rappresentanti di ANLAIDS, ARCIGAY - Associazione LGBT Italiana, CIRCOLO MARIO MIELI, LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, NADIR Onlus, NPS Italia Onlus, Plus Onlus,
interrompendo questa sera attorno alle 20.30 la plenaria di apertura del Congresso ICAR in programma a Roma fino al 24 maggio, il più importante appuntamento nazionale sull’Hiv e Aids la cui decima edizione ha radunato un migliaio di medici, ricercatori e rappresentanti di associazioni di tutta Italia.
Le nuove terapie consentono oggi di sopprimere la carica virale di Hiv rendendo le persone in terapia non infettive. Questo può permettere una buona qualità della vita e ha importanti ricadute sul piano della prevenzione.
Per ottenere questo risultato, però, sottolineano le associazioni, “devono essere garantiti adeguati standard di assistenza e cura”.
“Oggi, dicono, i tagli imposti alla spesa e la conseguente contrazione dei servizi rischiano di compromettere i buoni risultati raggiunti e il perseguimento degli obiettivi ONU a cui anche l’Italia ha aderito”.
Le Nazioni Unite giudicano possibile la sconfitta dell’AIDS entro il 2030 purché venga rispettato, già entro il 2020, il target: 90-90-90 che prevede che almeno il 90% delle persone con Hiv siano consapevoli del loro stato sierologico, di assicurare almeno al 90% di loro l’accesso alle terapie e, almeno nel 90% di questi casi, la soppressione della carica virale.
Oggi le associazioni rivendicano la necessità di perseguire anche un quarto obiettivo, il cosiddetto “4° 90”: la garanzia, cioè per le persone con HIV in terapia di una buona qualità della vita correlata alla salute.
Nel Piano Nazionale AIDS approvato dal Ministero della Salute e dalla Conferenza Stato-Regioni sono previsti gli interventi per rendere il percorso di cura delle persone con Hiv più efficace e in linea con gli obiettivi terapeutici. Le associazioni chiedono il finanziamento del Piano come atto dovuto perché questo documento di indirizzo possa essere introdotto nella pratica clinica.
Le persone con Hiv restano infatti portatrici di alte e specifiche esigenze di salute in ragione della complessità della cura, della particolare vulnerabilità sociale, del progressivo invecchiamento della popolazione interessata e della possibile insorgenza di gravi patologie concomitanti. I tagli rischiano invece di riportare l’orologio indietro di vent’anni.
“In tutta Italia – sottolineano in una nota le associazioni che hanno dato vita alla protesta - assistiamo infatti alla riduzione di controlli ed esami clinici fondamentali per il monitoraggio della salute del paziente e ad un indebolimento del ruolo del medico infettivologo che andrebbe anzi rafforzato e reso protagonista del rapporto con altri specialisti per un approccio multidisciplinare alla salute del paziente”.
“Per rispondere alle nuove necessità di oggi – aggiungono - bisogna garantire al medico infettivologo il coordinamento con altri medici specialisti adeguatamente formati sull’HIV, quindi in grado di garantire interventi competenti, tempestivi, multidisciplinari di monitoraggio ordinario e con una diagnostica adeguata”.
“Anche quando le terapie contro l’Hiv, oggi sempre più evolute, riescono a tenere sotto controllo l’infezione, il virus continua a essere presente nell’organismo e a stimolare il sistema immunitario”. Lo ha sottolineato
Filippo von Scholesser, Presidente di Nadir Onlus, nel suo discorso durante la sessione di apertura di ICAR 2018: “L’immuno-attivazione cui le persone con HIV sono costantemente sottoposte provoca patologie cardiache, ossee, neurologiche, e di altro tipo – ha proseguito von Scholesser - occorre un monitoraggio di altri specialisti non lasciati allo sbando, tempestivo quando necessario, periodico nella gestione dell’ordinario e con una diagnostica ben calibrata, al fine di garantire la salute di lungo termine. Il rischio, oltre l’incapacità di inquadrare e gestire bene le problematiche, è lo spreco di risorse a causa di possibili prestazioni inadeguate“.
“Le persone invecchiano, anche con l’HIV – aggiunge
Massimo Oldrini, Presidente di LILA, Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS – È preoccupante, oggi, constatare che la gestione complessiva di lungo termine non sia assicurata in modo integrato e lungimirante da molti centri clinici del nostro paese”.
“In parecchi centri clinici italiani è stato, oramai, adottato il criterio della turnazione tra i medici che seguono il paziente. Le motivazioni sono di carattere gestionale, tra cui il contenimento della spesa sanitaria -incalza
Sandro Mattioli, Presidente di Plus Onlus - Che fine ha fatto ‘il rapporto medico-paziente, che è stato per anni considerato la chiave del successo terapeutico in Hiv?. Sono oramai troppe – ha proseguito Mattioli - le persone che ci riferiscono di essere costrette a spostarsi dalle loro città per ricevere un’assistenza clinica multidisciplinare: ci chiediamo, provocatoriamente, se le parole ‘Sistema Sanitario Nazionale abbiano, oggi, ancora significato”.
Garantire alle persone con HIV una buona qualità della vita correlata alla salute, non può prescindere dalla valutazione degli aspetti di vita quotidiani. Il rischio di isolamento e la difficoltà di progettare il proprio futuro sono tra i fattori che impediscono il raggiungimento di tale obiettivo. “La discriminazione è ancora troppo presente nel nostro paese – ha commentato
Margherita Errico Presidente di NPS Italia - mi preme ricordare l’ambito lavorativo e l’ambito dei servizi ai cittadini, anche quelli socio-sanitari. Mi chiedo come possiamo parlare di ‘normalizzazione’, quando di normale c’è solamente la difficoltà quotidiana della persona con Hiv nel garantirsi una vita serena, di prospettiva, come le persone senza Hiv? Perché il progresso scientifico, oramai consolidato, non va di pari passo con quello sociale, di garanzia dei diritti?”
22 maggio 2018
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