Diabete di tipo 2. Studio propone nuova classificazione a 5 gruppi
di Will Boggs
Un gruppo di ricercatori svedesi propone un nuovo modello per la classificazione dei pazienti con diabete di tipo 2. Il nuovo modello identifica cinque gruppi, sulla base di alcuni parametri e delle manifestazioni cliniche.
12 MAR -
(Reuters Health) – La misurazione dell’insulina non sarebbe sufficiente a prevedere la progressione e l’insorgenza di complicanze tra chi soffre di diabete di tipo 2. Per questo, un gruppo di ricercatori scandinavi coordinato da
Leif Groop, della Lund University di Malmo, ha preso in considerazione diverse caratteristiche, dall’età all’insorgenza del diabete all’indice di massa corporea ai livelli di insulina glicata, per stratificare meglio i pazienti. Lo studio è stato pubblicato da
Lancet Diabetes & Endocrinology.
Lo studio. Secondo gli autori, mentre la diagnosi di diabete si basa solo sulla misurazione del glucosio, i pazienti presentano diverse manifestazioni cliniche della malattia, diversi tassi di progressione e complicanze. Per la classificazione, Groop e colleghi hanno preso sei caratteristiche comunemente misurate tra i pazienti: anticorpi anti decarbossilasi dell’acido glutammico (GADA), età alla diagnosi, indice di massa corporea, emoglobina A1c, il modello per valutare la stima di funzionalità delle cellule beta noto come homeostatic model assessment 2 (HOMA-2) e la resistenza all’insulina. Hanno quindi confrontato la classificazione risultante a livello metabolico, genetico e clinico a popolazioni diverse di pazienti, dalla Svezia alla Finlandia.
Le classificazioni. L’analisi delle diverse caratteristiche ha consentito di identificare cinque gruppi. Il gruppo 1 è caratterizzato da malattia a insorgenza precoce, indice di massa corporea relativamente basso, scarso controllo metabolico, carenza di insulina e presenza di anticorpi anti decarbossilasi dell’acido glutammico, un cosiddetto “grave diabete autoimmune”. Il gruppo 2, invece, è simile al precedente, ma con GADA negativi, ed èstato classificato come “grave diabete insulino-carente”. Il gruppo 3 è invece caratterizzato da insulino-resistenza e alto indice di massa corporea ed è stato classificato come “diabete insulino-resistente”. Il gruppo 4 è invece caratterizzato da obesità, ma non dall’elevata insulino-resistenza, ed è stato classificato come” lieve diabete correlato all’obesità”. Infine, il gruppo 5, che includeva pazienti più anziani con una modesta alterazione metabolica, è stato classificato come “diabete lieve correlato all’età”.
I gruppi e le patologie correlate. I gruppi 1 e 2 hanno mostrato livelli di emoglobina glicata sostanzialmente più alti alla diagnosi e successivamente e la chetoacidosi, al momento della diagnosi, è stata più frequente in questi due gruppi rispetto agli altri. Il gruppo 3, invece, ha mostrato una più alta prevalenza di steatosi epatica non alcoolica. Il tempo che passava prima di cominciare a usare insulina in modo continuativo è stato più breve nel gruppo 1, mentre la percentuale di pazienti trattati con metformina è stata più elevata nel gruppo 2; e questi ultimi hanno necessitato anche di un tempo più lungo per raggiungere l’obiettivo di trattamento. Il rischio di sviluppare una malattia renale cronica è risultato più elevato nel gruppo 3, mentre i primi segni di retinopatia diabetica sono stati più comuni nel gruppo 2. Infine, nessuna variante genetica è stata associata con i gruppi.
Fonte: The Lancet Diabetes & Endocrinology
Will Boggs
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
12 marzo 2018
© Riproduzione riservata
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