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Fumo. La lotta è da intensificare, facendo “rete”


Workshop all’Ieo di Veronesi. Auspicato il coordinamento tra centri di disassuefazione, Asl, medici di medicina generale, ospedali, farmacie per incrementare la prevenzione e migliorare i percorsi per l’abbandono della sigaretta.

31 OTT - Non bastano misure come la legge anti-fumo o le scritte sui pacchetti di sigarette (che ormai non colpiscono), per la prevenzione e la disassuefazione bisogna fare di più. “Quello che forse è mancato finora è un coordinamento comune” dice Umberto Veronesi “e c’è un problema di comunicazione per non cominciare, ai giovani, e per smettere”. La necessità di “fare rete” tra operatori – Asl, medici, ospedali, centri antifumo, farmacisti – è il tema centrale di un workshop svolto venerdì pomeriggio all’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano guidato da Veronesi. L’approccio sanitario non basta perché il fumo è un problema anche sociale, culturale, economico, con un’industria molto potente. “Un punto che dovrebbe essere ben chiaro a tutti, compresi alcuni operatori, è che fumare non è un’abitudine ma una vera dipendenza, l’Oms l’ha codificata come malattia da dipendenza da nicotina. Per combatterla ci vuole uno sforzo mutistituzionale e multidisciplinare” afferma Federico Perozziello, responsabile ambulatorio per la disassuefazione dal Fumo dell’Asl di Milano, città dove si stimano 300.000 fumatori su circa 1.300.000 abitanti. “In Italia ci sono 350 centri antifumo, ma sono poco frequentati; sugli 11 di Milano per esempio solo 6 vedono almeno 50 persone all’anno. C’entrano limiti di orari e personale, soprattutto però un problema di formazione, solo il 5% dei corsi di aggiornamento è svolto da pneumologi e il 4% da cardiologi. Perciò è iniziata una collaborazione con gli 11 centri per creare un percorso diagnostico-terapeutico assistenziale (Pdta) e realizzare entro fine anno un manuale da distribuire ai centri e anche ai medici di famiglia. Altro nodo è che non si fanno terapie per la disassuefazione nei ricoveri ospedalieri”. Dato non trascurabile è poi che ci sarebbe ancora un 20-25% di medici che fuma.

Nel centro antifumo dell’Ieo si ricorre a un approccio multidisciplinare con visite specialistiche per il profilo e il chek up del fumatore, con counselling, informazione per gestire la dipendenza e smettere, supporto telefonico o via mail. L’ambulatorio collabora con i volontari dello studio Cosmos condotto su 5.000 pazienti, sulla diagnosi precoce con Tc spirale del cancro del polmone, coordinato da Giulia Veronesi, direttore dell’Unità di diagnosi precoce del tumore del polmone dell’Istituto. “Vanno sviluppati programmi di screening su vasta scala, identificando il best target di popolazione” spiega. “Ora vogliamo fare il Cosmos II con Tc spirale e marcatori molecolari identificati nel sangue (con uno studio da noi pubblicato), su 10.000 pazienti, insieme con altri centri italiani”.
 
Nello stesso istituto milanese è in corso uno studio sull’efficacia della sigaretta elettronica senza nicotina per la disassuefazione, proposta in aggiunta o in alternativa al counselling. “Il gesto di fumare serve a contrastare lo stress che il fumatore avverte di più, perché la percezione dello stress viene aumentata dalla dipendenza dalla nicotina” spiega Elena Calvi, medico-psicoanalista del centro antifumo. “Le sigarette elettroniche possono essere un metodo di cura, inserito in un percorso a più livelli gestito da operatori qualifcati, dallo specialista al farmacista”. Per quelle con nicotina da ottobre è vietata la vendita a soggetti sotto i 16 anni di età.
Non bisogna dimenticare l’impatto delle sigarette. In Italia sono circa 12,2 milioni le persone che fumano, il 26% dei maschi e il 19% delle femmine. E ogni anno il Ssn spende 6 miliardi di euro per il problema fumo. “Dei 560.000 decessi annui per malattia 70.000 (il 15%) sono dovuti al fumo e patologie correlate, senza contare che il suo ruolo in malattie come Bpco o patologie cardio e cerebrovascolari” ricorda Paolo Spriano, Mmg e segretario nazionale Snamid. “Pochi fumatori però chiedono aiuto al medico, oggi circa il 3,6% dei fumatori, addrittura metà che nel 2009. Da notare poi che l’87 di chi smette lo fa da solo e senza supporto terapeutico. Su questo bisogna quindi intervenire”. Tra l’altro l’Istituto superiore di sanità ha redatto linee guida per promuovere la cessazione. “Fa parte degli interventi di prevenzione attuati dal medico identificare precocemente il problema domandando ai pazienti, proporre counselling e trattamenti, controllare”. Bisognerà poi ridefinire l’organizzazione territoriale, ripensando i suoi modelli, i processi di counselling e cura più efficaci nell’ambito delle cure primarie.  

Un altro polo è quello delle farmacie. Che cosa possono fare per aiutare nella lotta contro il fumo? “La farmacia è un terminale del Ssn, inoltre si è confermato più volte il servizio più apprezzato dai cittadini” premette Annarosa Racca, presidente di Federfarma. “Capillarità (ci sono più farmacie che uffici postali), orari d’accesso, disponibilità all’ascolto, professionalità, informatizzazione e legame con il Ssn sono punti di forza. E possono essere valorizzati ancora di più, grazie alla legge del 2009 sulla farmacia dei servizi. E’ previsto il supporto ai medici di Medicina generale con l’obiettivo di garantire il coretto uso dei farmaci prescritti e il relativo monitoraggio. Nelle farmacie si fa anche prevenzione, già quella per i tumori, come in Lombardia per il ca del colon-retto: vediamo positivamente farla anche per il fumo. Oltre a fornire farmaci, cerotti e chewing gum, sigarette elettroniche e fitoterapici, a supporto possiamo informare sulle metodologie di disassuefazione; si potrebbero anche allestire “corner” dedicati alla patologia, per esempio per questionari sul fumo”. Altra possibilità, informare sui centri antifumo sul territorio. “Dobbiamo costruire una rete con medici, ospedali, Asl e operatori per assistere meglio il cittadino”conclude. “Anzi la rete c’è già, si può fare un progetto per la lotta contro il fumo”.
Elettra Vecchia
 

31 ottobre 2011
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