Quando il paziente non prende le medicine: le nuove strategie high-tech per aumentare la compliance
di Maria Rita Montebelli
La maggior parte dei fallimenti terapeutici, delle ipertensioni non controllate, delle recidive di infarto, non dipendono da trattamenti poco efficaci, ma dal numero di pillole non assunte. La scarsa compliance è un problema enorme, trasversale a tutti i campi della medicina. E mentre ci si affida alle nuove tecnologie, alle ‘spie’ digitali che avvertono delle terapie saltate, gli esperti di compliance ricordano che nessuna soluzione high-tech potrà mai essere efficace come la conversazione medico-paziente, per la quale servono i giusti tempi e i giusti argomenti, ma soprattutto imparare ad ascoltare il paziente.
28 DIC - E’ una soluzione che fa un po’ ‘Grande Fratello’ ma secondo gli esperti appartiene ad un futuro più prossimo di quanto non si pensi.
Il problema per il quale si sta preconizzando una sorta di monitoraggio digitale a distanza è quello vetusto della
compliance del paziente. Un problema trasversale a qualunque categoria di pazienti, anche a quelli giunti ad un passo dalla morte per un arresto cardiaco o un infarto.
Il medico si siede col paziente, spiegandogli la necessità di assumere regolarmente quel dato farmaco salvavita (che si tratti di clopidogrel o di un nuovo anticoagulante, poco importante), convinto di averlo motivato per bene. Ma il paziente, troppo spesso, salutato il medico, finisce col lasciare nel suo studio, proprio come un ombrello dimenticato, anche la sua motivazione ad assumere con regolarità quei farmaci. Perché è depresso, perché li percepisce come corpi estranei, perché ‘lo fanno sentire male’. Ognuno trova la sua giustificazione per lasciare le medicine nel cassetto, quando non addirittura sullo scaffale della farmacia. E allora che fare?
La ‘spia’ digitale della compliance
Di recente, la
Food and Drug Administration americana ha approvato l’uso di ‘Abilify MyCite’, la prima pillola dotata di sensore per il monitoraggio delle prescrizioni terapeutiche; in pratica una ‘spia’ da ingoiare insieme ai principi attivi, per far sapere al medico se le sue dotte prescrizioni arrivano effettivamente a target.
E nemmeno a farlo apposta, come ricorda
Lisa Rosenbaum, autrice di un articolo sull’argomento pubblicato dal
New England Journal of Medicine, il principio attivo al quale è stata abbinata per la prima volta la spia digitale della
compliance (il cosiddetto IEM - ingestibile event marker - della Proteus) è l’aripiprazolo, farmaco (tra l’altro) usato anche contro la paranoia. L’IEM si attiva a contatto con i succhi gastrici e trasmette il suo segnale di ‘missione compiuta’ ad un sensore a cerotto messo sull’addome; di qui il segnale rimbalza su un’applicazione del cellulare che monitora anche l’attività, lo stato d’animo e la qualità del sonno del paziente.
Questa tecnologia (la DHFS Digital Health Feedback System)viene utilizzata da tempo anche per monitorare l’aderenza ai trattamenti al vaglio degli studi clinici e secondo l’autrice, potrebbe essere presto utilizzata per monitorare la
compliance di numerosi altri trattamenti.
Il dubbio che i pazienti possano vivere questa ‘spia’ digitale come un’ingerenza indebita nella loro privacy indubbiamente viene. Ma la realtà racconta un’altra storia. I pazienti affetti da schizofrenia o disturbo bipolare sottoposti a trattamento con l’aripripazolo ‘marcato’ dalla spia digitale, non solo non hanno trovato sgradevole la cosa, ma anzi l’hanno trovata utile per la propria salute, anche perché, in caso di avessero dimenticato di assumere la terapia, l’applicazione del cellulare era lì a ricordarglielo. Anche un paziente psichiatrico insomma è perfettamente in grado di distinguere tra paranoia e patto leale col medico.
Le nuove applicazioni del rivelatore di compliance
Il sistema della Proteus è stato recentemente testato anche su altre categorie di pazienti, come quelli con ipertensione scarsamente controllata; la somministrazione dei farmaci col rivelatore di compliance, ha prodotto in questi soggetti una significativa riduzione della sistolica.
Nel caso di un paziente con diabete, il rivelatore di compliance potrebbe essere doppiamente utile: non solo per ricordare al paziente di assumere la terapia, ma anche per ricordargli di averla già assunta, evitando così una doppia assunzione e risparmiando magari un episodio di ipoglicemia.
Il DHFS insomma potrebbe essere la giusta ‘terapia’ per i soggetti tendenti alla scarsa compliance, anche se evidentemente nulla impedisce al diretto interessato di staccarsi il cerotto-sensore dall’addome, riprendendo a ‘dimenticare’ di assumere le terapie o facendo orecchie da mercante ai ‘remind’ del cellulare.
Ma la scarsa compliance, non è solo sinonimo di ‘dimenticanza’
Difficilmente la gente ‘dimentica’ le cose realmente importanti; insomma si dimentica di assumere la terapia perché magari non la si considera abbastanza importante. Ma anche perché – e questo capita spesso al paziente di mezza età – non si accetta di essere affetto da una patologia cronica come l’ipertensione o l’ipercolesterolemia; per digerire il fatto di non vedersi più come l’eterno diciottenne invincibile, ma come un cinquantenne con una patologia cronica, assicurano gli esperti di
compliance, possono volerci anche un paio d’anni. il monitoraggio digitale della
compliance insomma non è la panacea per tutti gli aspetti psicologici sottesi alla scarsa aderenza terapeutica. Di certo però, oltre a far ‘ricordare’ di prendere la pillola, il monitoraggio digitale può far riflettere sul fatto che sia importante assumere i farmaci.
High tech o dialogo medico-paziente?
Ma l’autrice di questo articolo ammonisce i medici prescrittori a non limitarsi a fare delle ‘conferenze’ sulla necessità di assumere le pillole, facendo intravvedere ‘conseguenze catastrofiche’. Altrettanto importante, se non di più, è infatti ascoltare il paziente, dargli il tempo di esporre le sue ragioni o di parlare degli effetti indesiderati delle terapie. Andrebbe abbandonato insomma, per quanto possibile, l’atteggiamento paternalistico tipo ‘il medico ne sa di più’. Più ascolto e meno ‘conferenze’ col paziente insomma. E la consapevolezza che il monitoraggio digitale, per quanto utile, non potrà mai soppiantare la conversazione tra il medico e il suo paziente.
Maria Rita Montebelli
28 dicembre 2017
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