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Essere single fa male al cuore: rischio morte per infarto più alto del 40% risptto a chi è sposato. E per i vedovi è ancora peggio: +70%

di Maria Rita Montebelli

Stando ai risultati di una ricerca appena pubblicata sul giornale dell’American Heart Association su oltre 6 mila pazienti, con età media di 63 anni, avere una moglie o un marito al proprio fianco è più potente di una manciata di medicine per un cardiopatico sessantenne. Single impenitenti e divorziati hanno infatti un rischio maggiorato del 40% di morire per cause cardiovascolari o di fare un infarto; rischio che si impenna al 70% nei vedovi

20 DIC - Essere single non fa bene al cuore. Almeno a quello dei pazienti sessantenni, maschi o femmine non importa. Lo dimostra uno studio serissimo, appena pubblicato su Journal of American Heart Association, condotto su oltre 6 mila pazienti, con età media di 63 anni, sottoposti a cateterismo cardiaco per ischemia e seguiti per 3,7 anni (nel corso del quale sono stati registrati 272 infarti e 688 casi di mortalità per cause cardiovascolari).
 
Rispetto ai ‘controlli’ tra gli sposati, i cardiopatici divorziati/separati, vedovi o scapoli impenitenti (comunque non sposati) presentavano:
· una mortalità per tutte le cause superiore del 24%,
· un rischio di mortalità per cause cardiovascolari maggiorato del 45%,
· un rischio composito di mortalità cardiovascolare/infarto più alto del 52%.
 
Gli autori hanno stratificato ulteriormente quest’ultima categoria di rischio (mortalità cardiovascolare/infarto)  basandosi sullo stato maritale del paziente; questo li ha portati a scoprire che la categoria più a rischio, tra i non coniugati, è quella dei vedovi.
Il rischio di mortalità cardiovascolare/infarto è risultato infatti:
· del 40% superiore tra i single da una vita
· del 41% maggiore tra i divorziati/separati
· del 71% più alto tra i vedovi
 
La presenza di una moglie o di un marito insomma, per i pazienti cardiopatici, può fare veramente la differenza tra la vita e la morte.
I single dello studio erano più numerosi tra i neri e tra le donne, erano ipertesi e soffrivano di scompenso cardiaco, presentavano elevati valori di colesterolo e fumavano mediamente di più dei pazienti sposati.
 
 “Sono rimasto assolutamente sorpreso – ammette tranquillamente l’autore della ricerca Arshed Quyyumi, condirettore dell’Emory Clinical Cardiovascular Research Institute e professore di medicina presso la Emory University di Atlanta (Usa) – dall’entità dell’influenza giocata dall’essere sposati o meno nei pazienti cardiopatici. Il supporto sociale fornito dal matrimonio, accanto ai molti altri benefici dell’avere un compagno o una compagna, sembra veramente importante per i cardiopatici”. Al punto che adesso i cardiologi americani stanno valutando di considerare lo stato civile nel definire il trattamento dei pazienti cardiopatici; i single potrebbero infatti beneficiare di un supporto psicologico o di un trattamento e follow-up più aggressivo e stringente rispetto agli sposati.
 
Considerazioni queste che andranno naturalmente vagliate da studi futuri perché questi risultati sono frutto di una ricerca retrospettiva, con tutti i limiti del caso.
 
Lo studio è stato supportato da grant dei National Institutes of Health e della Abraham J. & Phyllis Katz Foundation (Atlanta, Usa) .
 
Maria Rita Montebelli

20 dicembre 2017
© Riproduzione riservata

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