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Arteriopatia periferica. Il test dell’acqua fredda predice il rischio di evento cardiovascolare

di Lorraine Janeczko

Le persone che soffrono di arteriopatia periferica (PAD – peripheral artery disease) e le cui carotidi si  restringono quando mettono le mani in acqua fredda sarebbero a un rischio quattro volte maggiore di  soffrire di eventi cardiovascolari come ictus e infarto. A suggerirlo è uno studio condotto a Liverpool

10 NOV - (Reuters Health) - Un gruppo di ricercatori inglesi, coordinato da Dick Thijssen del Liverpool John Moorse,  dell’Università di Liverpool,  ha eseguito un nuovo test, noto come coronary artery reactivity (CAR) su 172  pazienti con arteriopatia periferica (PAD – peripheral  artery disease), di età media di 68 anni. Prima del test, i pazienti dovevano riposare su un letto in una stanza a temperatura controllata per almeno cinque minuti. Per la prova, invece, dovevano stare in piedi mantenendo il collo esteso. Il diametro dell’arteria carotidea sinistra veniva registrato in continuo per 30 secondo prima e per 90 secondi mentre immergevano le mani fino ai polsi nell’acqua con ghiaccio.Dai risultati è  emerso che in 82 dei partecipanti la carotide si sarebbe ristretta; in 90, invece, la carotide si sarebbe dilatata.

Nei successivi 12 mesi, i ricercatori hanno registrato gli eventi cardiaci e cerebrovascolari, la progressione all’angioplastica percutanea  transluminale, l’aumento di ostruzione dei vasi e la morte. Così hanno evidenziato  che i pazienti le cui carotidi si stringevano per effetto dell’acqua fredda  sarebbero stati più colpiti da eventi cardiovascolari, mentre il rischio di progressione, dopo aver considerato altri fattori  sarebbe raddoppiato. Infine, non sono state registrate  evidenze per la mortalità dovuta a qualsiasi causa.

“La carotide è facilmente accessibile e misurabile e risponde allo stesso modo delle coronarie quando viene esposta al freddo – spiega Thijssen -. Con questo nuovo test CAR, semplice, non invasivo e realizzabile da molti operatori, si possono aiutare i medici a decidere se i pazienti beneficeranno  maggiormente di un intervento chirurgico o della terapia conservativa”, ha spiegato il ricercatore che vorrebbe ora, con il suo team, capire il valore prognostico del test  in altre popolazioni a maggior rischio di malattie cardiovascolari.

Fonte: Annals of Surgery

Lorraine Janeczko

(Versione italiana Quotidiano  Sanità/Popular Science)

10 novembre 2017
© Riproduzione riservata

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