Patient reported outcomes: l’offerta di salute guidata dai pazienti
di Maria Rita Montebelli
Può sembrare scontato e banale eppure è l’uovo di Colombo per far funzionare meglio la sanità. Come? Ascoltando la voce del paziente, chiedendogli cosa ha funzionato e cosa no delle cure che gli sono state somministrate. Si chiamano PRO e sono dei questionari strutturati per specialità che consentono di ‘intervistare’ il paziente attraverso un tablet o un computer. Un sistema che recupera il dialogo medico-paziente, facendo risparmiare tempo, focalizzandosi sui punti che contano e rivelando scenari inediti che possono improntare scelte future e allocazione di investimenti in sanità. Se ne parla oggi sul New England Journal of Medicine.
05 OTT - Misurare puntualmente gli
outcome è (o dovrebbe essere) un must in sanità per verificare se si sta andando nella giusta direzione e soprattutto con un buon rapporto di costo/efficacia. Finora la tendenza è stata quella di riservare le valutazioni qualitative molto a valle, focalizzandosi ad esempio sulla sopravvivenza. “Fino a tempi recenti – riflette il dottor
Neil Wagle in un suo intervento sul
New England Journal of Medicine - è stata posta poca attenzione alle valutazioni quantitative degli
outcome funzionali, dei sintomi e della qualità di vita. Un modo per ottenere queste informazioni è di misurare i cosiddetti
Patient-Reported Outcomes (PROs) attraverso questionari standardizzati”.
Usati inizialmente con successo in oncologia (hanno consentito di migliorare gestione dei sintomi e qualità di vita e di allungare la sopravvivenza), di recente i payers hanno cominciato ad incoraggiarne l’uso anche in altri domini della medicina. “Il Medicare Comprehensive Care for Joint Replacement – ricorda Wagle – prevede incentivi finanziari per gli ospedali che raccolgono e trasmettono i PRO relativi ai pazienti che vanno incontro ad interventi elettivi per protesizzazione d’anca o di ginocchio”.
Gli esempi di strutture che hanno cominciato ad incorporare i PRO nella routine clinica, almeno oltreoceano, si vanno moltiplicando e sia medici che pazienti ne riferiscono grandi benefici. Il dipartimento di chirurgia Ortopedica dell’Università di Rochester ha raccolto finora oltre 1,1 milioni di PRO, utilizzati al momento per coinvolgere i pazienti in operazioni di
decision making condivise in merito alle opzioni terapeutiche. I PRO, sdoganati in questo caso dall’ortopedia, sono ormai entrati nella pratica clinica di altri 30 tra dipartimenti e divisioni della stessa università.
Secondo gli autori del paper sul Nejm che riferiscono della loro esperienza presso il Partners HealthCare (un grande sistema multiospedale di Boston), l’impiego dei PRO aumenta il grado di soddisfazione dei medici, ne previene il
burnout e migliora la cura dei pazienti. Anche in queste strutture sono stati raccolti (sugli iPAD in clinica o su device dei pazienti a casa loro) finora più di 1,2 milioni di PRO, relativi a 75 specialità, a partire dal 2012. Sono ormai 1.500 i medici di Partners HelathCare che utilizzano i PRO, che vengono ormai utilizzati come feedback con ricadute le più varie, dalla gestione clinica, alla programmazione, alla ricerca.
A beneficiarne è la relazione medico-paziente perché consente una migliore comprensione dei sintomi (ad esempio consente di apprezzare in maggior dettaglio gli esiti di un intervento chirurgico, in termini di dolore residuo e di inabilità); i PRO facilitano anche la condivisione dei processi di decision making e in generale facilitano la ‘conversazione’ tra medico e paziente.
Sebbene all’inizio possano sembrare ‘time-consuming’ – ammette l’autore, una volta entrati a regime, lo strumento dei PRO, sotto forma di questionario standardizzato elettronico, migliora l’efficienza lavorativa e allo stesso tempo, aiuta i medici ‘a fare di nuovo i medici’; al momento della visita infatti i medici hanno già le risposte compilate dai pazienti in sala d’attesa e possono focalizzarsi solo sugli elementi rilevanti, evitando di disperdersi in conversazioni inutili e fuorvianti.
I PRO sono anche uno strumento molto discreto che consente di indagare su aspetti ‘riservati’ e ‘sensibili’ della vita del paziente, senza creare inutili imbarazzi (su argomenti quali disfunzione sessuale, incontinenza, sanguinamento rettale, ecc) ma ottenendo le informazioni necessarie. Strumento prezioso i PRO – proseguono gli autori – anche per i medici di famiglia chiamati ad indagare su possibili casi di abuso tra le mura domestiche. Situazioni più facili da confessare ad un questionario elettronico, che ad un medico, almeno in prima battuta.
Altra importante applicazione dei questionari di
screening – suggeriscono gli autori – è che consentono di fare il punto sulle condizioni cliniche del paziente, evidenziando problemi messi in ombra dalle diagnosi principali (ad esempio nel caso di un paziente oncologico, la depressione).
Oltre agli indubbi benefici ricavati dai pazienti, i PRO migliorano e di molto il grado di soddisfazione dei medici, proteggendoli dal
burnout. Un problema quest’ultimo non da poco, visto che metà dei medici presenta almeno un sintomo di
burnout, che a sua volta si associa ad un aumentato rischio di errori, ad una minore soddisfazione da parte dei pazienti e ad una ridotta aderenza dei pazienti alle terapie prescritte.
Ma naturalmente non è tutto oro quel che luccica. Applicare in maniera sistematica i PRO all’inizio può occupare tempo (e sia in corsia che negli ambulatori non ce n’è certo d’avanzo), richiede investimenti in
device per la raccolta dati e
server per l’archiviazione, configurazione di programmi elettronici e formazione del personale all’utilizzo degli stessi. Ma se l’avvio può risultare un po’ indaginoso, i risultati a medio e lungo termine come visto presentano un ottimo rapporto di costo-efficacia.
“Nonostante queste limitazioni – concludono gli autori – riteniamo che i PRO abbiano il potenziale di ri-coinvolgere pazienti e medici nel processo di offerta delle cure. Lungi dall’essere una mera strategia per ‘placare’ i payers o per provare il valore di alcune tecnologie, i PRO potrebbero dunque aiutare a sostenere sostanza e spirito della forza lavorativa medica, indicando la via per la realizzazione di un servizio sanitario più solido”.
Maria Rita Montebelli
05 ottobre 2017
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