Dolore cronico, appropriatezza terapeutica ancora da migliorare
Si stima che in Italia soffrano di dolore cronico circa 15,6 milioni di persone. Il 45% lo sopporta da oltre tre anni e il 20,7% da uno-tre anni. Ma due indagini mostrano che molti pazienti non sono trattati adeguatamente, si abusa di Fans e c’è ancora paura degli oppiodi. Novità è il capostipite di una nuova classe di farmaci, più potente e meglio tollerato.
20 SET - Dolore cronico non oncologico nel 55,7% delle persone tra i 45 e i 65 anni, nel 55% dei casi a causa di lombalgie croniche e nel 45% quale dolore cronico delle articolazioni di mani, ginocchia, anche. In quasi il 45% dei casi dura da oltre tre anni e nel 20,7% da uno-tre anni.
Dolore che più del 60% definisce moderato o grave e che viene trattato per quanto riguarda i farmaci con antinfiammatori nel 30,6% circa dei casi, con paracetamolo nel 22,2% e con oppioidi deboli nel 14,3%. Ma il 45,5% dei pazienti trattati si dichiara insoddisfatto dalla cura.
Sono aspetti che emergono da un’indagine tra 192 pazienti, condotta parallelamente a una indagine tra 325 medici. Irisultati dei due survey, che hanno sondato la situazione e la gestione del dolore cronico e sono stati effettuati dal portale sanitario Doloredoc tra maggio e luglio di quest’anno, sono stati illustrati a Milano.
I medici e la terapia del dolore
Il campione dei medici era costituito per il 26% da anestesisti, il 14% da medici di Medicina generale, il 13% da oncologi e poi altri specialisti quali geriatri, reumatologi, neurologi, ortopedici. Sempre rimanendo ai medici, quasi l’80% ha definito dolore cronico severo quello di livello tra 6 e 8, nella scala da 0 a 10, e si è posto come obiettivo terapeutico in questo caso la riduzione a un livello tra 2 e 4; le finalità principali del trattamento sono state riconosciute per il 30,5% la diminuzione del dolore, ma per il 31,6% anche il miglioramento della qualità di vita dei pazienti, per il 15,7% il recupero funzionale, nonché per il 5,7% e il 2% quello sul piano sociale e lavorativo, rispettivamente.
“Il vecchio concetto del dolore solo come sintomo è superato, da almeno un decennio. Sappiamo che quando cronicizza è una vera malattia e come tale va diagnosticata e curata, ma in modo adeguato. E’ quanto riconosciuto anche dalla legge del 15 marzo 2010, una pietra miliare” ha ricordato Salvatore Palermo, dirigente medico Centro medicina e terapia del dolore A.O. Università San Martino di Genova.
“Si sono compiuti progressi dalla legge 38, gli strumenti per la sua applicazione sono stati completati al 90%” ha detto Guido Fanelli, coordinatore della Commissione ministeriale Terapia del dolore e Cure Palliative. “Bisogna però continuare la battaglia sul fronte culturale e dell’appropriatezza prescrittiva, contro l’impiego inappropriato dei Fans: benché aumenti il consumo di oppioidi, siamo ancora il primo paese al mondo per uso di Fans”.
A proposito di appropriatezza il Ministero ha attivato a fine giugno il “Cruscotto”, un software per rilevare la tipologia delle prestazioni ospedaliere erogate e i farmaci prescritti. Come dato di fondo, si è stimato che il dolore cronico in Italia riguarderebbe circa 15,6 milioni di persone.
Tornando al survey tra i medici, al quesito su come sia cambiato o possa ulteriormente cambiare l’atteggiamento prescrittivo alla luce della recente legge sulla terapia del dolore, per il 42,6% varierà poco e per il 40,2% abbastanza, contro il 15,9% che afferma che muterà molto e all’opposto l’1,2% per il quale resterà invariato. La maggioranza inoltre concorda sul fatto che ci sia una conoscenza limitata delle caratteristiche farmacologiche dei vari trattamenti, così come delle differenze tra tipi di dolore (neuropatico o nocicettivo), e che il dolore a componente neuropatica sia spesso più difficile da trattare.
Riguardo ai criteri di scelta dei farmaci da parte dei medici sono stati riferiti prima di tutto tollerabilità ed efficacia, al 27,3 e al 27% rispettivamente, seguiti dall’impatto sulla qualità della vita al 16,8% e dalla via di somministrazione al 14,5%, ultimo il costo al 2,69%. Venendo allo specifico delle prescrizioni nelle forme severe si ricorre agli oppioidi forti e deboli nel 52,7% dei casi; alle combinazioni di oppiodi con adiuvanti (come antidepressivi, benzodiazepine, neurolettici, miorilassanti) nel 13%, con Fans nel 9,5%, con paracetamolo nell’8,5%, con Fans più paracetamolo nell’1,9%, con Fans più adiuvante nell’1,6%; infine ad altro nel 12,7% dei casi. Alla domanda su quanto spesso siano stati prescritti oppioidi forti ai pazienti con dolore cronico non oncologico, il 41% ha risposto spesso (nel 40-60% dei casi) e il 17,8 molto spesso (oltre 61% dei casi),contro il 32,9% che ha affermato qualche volta (10-40% dei casi) e l’8,4% raramente o mai (meno del 10% dei casi); in presenza di dolore oncologico c’è uno spostamento con il molto spesso al 67,4%, ma il raramente o mai resta comunque al 4%.
Questa la priorità dei fattori indicati come limitanti il successo del trattamento del dolore cronico severo: i principali sono per il 43,7% gli effetti collaterali, dalla tossicità all’assuefazione alla stipsi; per il 14,3% resistenze culturali all’uso di oppiacei; per il 7,5% l’efficacia dei farmaci; per il 6,1% l’aderenza alla terapia e per il 5,1% difficoltà prescrittive e scarsa informazione dei medici. I principali effetti indesiderati riducenti il successo degli oppioidi forti nel dolore cronico severo sono riferiti nausea, vomito e disturbi gastrointestinali, sonnolenza, sviluppo di tolleranza, mancanza di efficacia, vertigini o altro. Quanto al tempo in cui mediamente i pazienti restano in trattamento con un dato oppioide questo dura per la maggioranza, con il 53,7%, da uno a 3-6 mesi; supera i sei mesi per il 26,1% e scende invece a una settimana-un mese per il 19,1%, con un 1% inferiore a una settimana.
In particolare per il dolore lombare cronico, nel quale spesso non viene diagnosticata chiaramente la componente neuropatica, quasi la metà cioè il 48,5% afferma di vedere meno di 10 pazienti al mese nei quali questa è evidente, il 39,5% di vederne tra 10 e 20 e l’11,9% più di 20. In netta maggioranza, l’82,4%, la scelta più frequente in questi casi è l’associazione di farmaci, mentre per il 17,6% è la monoterapia. Quanto alle classi farmacologiche più spesso prescritte queste sono, nell’ordine: associazioni fisse di oppioidi deboli per il 25,8%; anticonvulsivanti 13,9%; oppioidi orali deboli 13,5%; associazioni fisse di oppioidi forti 11,5%; Paracetamolo 3,57%; oppioidi forti orali 10,7%; oppioidi forti transdermici 7,94%; Fans 7,54%, antidepressivi 3,97%; analgesici topici o Fans 0,4%.
I pazienti e la terapia del dolore
Dal punto di vista dei pazienti affetti da dolore cronico severo un dato rilevante dell’indagine è che ben il 45,5% si dichiara insoddisfatto dei trattamenti ricevuti: i motivi principali sono l’insufficiente riduzione del dolore, per il 51,5%, e gli effetti collaterali quali nausea, sonnolenza, cefalea o stipsi, per il 28,4%. Se compaiono efetti indesiderati, il 19% interrompe l’assunzione del farmaco, il 14,83% ne riduce la dose, il 10,65% aggiunge altri farmaci, altri ricorrono a medicine alternative oppure sopportano senza fare nulla.
“Ci sono pazienti che soffrono per anni senza risolvere il problema, che usano per anni antinfiammatori che non vanno bene sul dolore severo, mentre gli oppiacei fanno ancora paura e c’è il problema degli effetti collaterali” dice Palermo. “Quello che occorerebbe è un trattamento ad ampio spettro, per fare un parallelo come un antibiotico, che sia efficace su vari tipi di dolore e con scarsi side-effects. In questo senso è importante l’affacciarsi dopo molto tempo di un farmaco davvero innovativo , tapentadolo, capostipite di una nuova classe in quanto dotato di un duplice meccanismo d’azione che lo rende efficace su tutti i tipi di dolore e più potente, consentendo bassi dosaggi e ridotti effetti collaterali”.
Il farmaco, disponibile da ottobre anche nel nostro paese, è indicata per tutti i tipi di dolore cronico severo ed è formulato a rilascio prolungato, migliorando anche l’aderenza alla terapia. Capostipite della classe detta MOR-NRI, al tempo stesso stimola i recettori MOR degli oppioidi e inibisce la ricaptazione dell’adrenalina, un effetto sinergico che aumenta la potenza e migliora la tollerabilità, senza attivazione epatica (non è un profarmaco) né interazioni con altri farmaci, caratteristiche che lo rendono più maneggevole anche nei pazienti anziani e con comorbilità. Negli studi clinici condotti, in particolare nella lombalgia cronica severa, ha mostrato una riduzione del dolore sovrapponibile a oppioidi di riferimento ma con diminuzione degli effetti collaterali, con minori tassi di interruzione volontaria della terapia e miglioramento della qualità di vita.
E.V.
20 settembre 2011
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