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È più salutare il pane bianco o quello integrale? Non c’è una risposta valida per tutti. A stabilirlo è il nostro microbiota intestinale

di Maria Rita Montebelli

Uno studio israeliano su Cell metabolism getta le basi per un cambio di paradigma nelle diete. Non esiste una dieta valida per tutti, bisogna invece cominciare a fare i conti con il microbiota intestinale di ogni individuo che può rendere un alimento ‘buono’ sulla carta meno salutare, e viceversa. Disegnato per valutare le ricadute sulla salute del pane bianco e di quello integrale, questo studio rappresenta piuttosto la miccia per un filone di ricerche innovative, quello delle prescrizioni dietetiche basate sul microbiota del singolo individuo

06 GIU - Uno studio israeliano è andato a valutare le differenti ricadute su vari parametri biologici di un’alimentazione a base di pane bianco o di una a base di pane integrale. La sorpresa è stata che le analisi del sangue non mostrano differenze tra i due gruppi. La vera differenza di come un organismo reagisce al pane bianco o a quello integrale è già scritta ed è prevedibile in base alla composizione del microbiota. Una scoperta che potrebbe segnare l’addio della diete ‘a taglia unica’. Come nelle terapie, anche nelle diete si andrà verosimilmente incontro ad una prescrizione personalizzata sulla base del proprio microbiota.
 
Il pane è un componente fondamentale dell’alimentazione di tutti i popoli, per questo non sorprende che sia stato al centro di tanti studi. Che tuttavia ad oggi non sono riusciti a chiarire gli effetti dei diversi tipi di pane su una serie di parametri clinici e sul microbiota.
A far luce su questo argomento di interesse quotidiano ci hanno provato un gruppo di ricercatori dell’Istituto Weizmann che, sull’ultimo numero di Cell Metabolism, hanno pubblicato i risultati di uno studio randomizzato condotto su 20 soggetti in buona salute, confrontando il diverso impatto del pane bianco e di quello integrale (di granoturco intero) sull’organismo.
 
Con grande sorpresa i ricercatori si sono accorti che non tutti gli individui rispondono allo stesso modo ai diversi tipi di pane; e dunque la mossa successiva è stata di mettere a punto un algoritmo predittivo di come i singoli soggetti possano rispondere al pane nelle loro diete.
Tutti i soggetti inclusi nello studio abitualmente assumevano il 10% delle loro calorie quotidiane dal pane; metà di loro sono stati assegnati a consumare una quantità crescente di pane bianco per una settimana, fino ad arrivare al 25% delle calorie giornaliere; agli altri partecipanti è stato chiesto di fare altrettanto ma col pane integrale, che veniva panificato appositamente per questo studio e consegnato fresco ai partecipanti. Per le successive due settimane i partecipanti sono stati privati del tutto del pane. Poi lo studio è proseguito in cross over, cioè il gruppo assegnato inizialmente al pane bianco, passava in questa seconda fase a quello integrale e viceversa.
 
Durante lo studio i ricercatori monitoravano una serie di parametri, come i livelli di glicemia al risveglio, la calcemia, la sideremia e la magnesemia; i livelli di colesterolo e altri lipidi, gli enzimi di funzionalità epatica e i parametri di funzionalità renale, una serie di marcatori di infiammazione e di danno tessutale. E’ stata inoltre valutata la composizione del microbioma dei partecipanti, prima, durante e dopo lo studio.
 
Il risultato iniziale, del tutto inatteso peraltro, è stato che non sono state riscontrate differenze significative tra i soggetti che consumavano questi due tipi di pane, su nessuno dei parametri esaminati. “Siamo andati a ricercare diversi marcatori – spiega Eran Segal, biologo computazionale presso il Weizmann Institute of Science – e non abbiamo riscontrato alcuna differenza tra i gruppi sottoposti ai due tipi di intervento dietetico.”
 
Sulla base di risultati di studi precedenti, che avevano riscontrato una varietà di risposte glicemiche ad una dieta unica, i ricercatori hanno cominciato a pensare che le cose potessero essere più complesse di quanto in apparenza non fossero. E andando ad osservare meglio hanno scoperto che la risposta glicemica era migliore in circa la metà di quelli che mangiavano pane bianco e nella metà di chi mangiava quello integrale.
 
Si tratta di un risultato potenzialmente molto importante – sottolineano gli autori – perché potrebbe puntare ad un nuovo paradigma e cioè che persone diverse rispondono in modo diverso anche agli stessi cibi. “Fino ad oggi – prosegue Eran Elinav, del Dipartimento di Immunologia del Weizmann Institute – i valori nutritivi assegnati al cibo si sono basati su un scienza minimale, col risultato che le diete ‘a taglia unica’ hanno fallito miseramente. Questi risultati dovrebbero portare ad un approccio più razionale che indichi alla gente quali alimenti sono i migliori per loro, basandosi sulla composizione del loro microbiota”.
 
La composizione del microbiota è rimasta invariata per tutta la durata del trial e non si modificava con l’intervento dietetico. Ed è proprio la composizione del microbiota la responsabile della diversa risposta glicemica al tipo di pane consumato; infatti i ricercatori israeliani sono riusciti a dimostrare una variabilità interpersonale statisticamente significativa nella risposta glicemica a diversi tipi di pane, suggerendo così che la mancanza di differenze fenotipiche, rispetto al diverso consumo di pane, derivano da un effetto persona-specifico. Il tipo di pane che nel singolo individuo induce una risposta glicemica inferiore può essere previsto sulla base dei dati del microbiota di quella persona prima dell’intervento terapeutico.
 
Per capire la risposta ad una dieta insomma non sarà più possibile basarsi solo sul tipo di intervento dietetico proposto, ma bisognerà integrare questa informazione con una serie di fattori specifici di una data persona.
                                                                                           
Maria Rita Montebelli

06 giugno 2017
© Riproduzione riservata

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