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Tagli sul farmaco anche Oltremanica


In Gran Bretagna il generico ha un ruolo fondamentale, il medico di medicina generale prescrive parsimoniosamente ed esiste il Nice, istituzione rinomata per la rigidità dei suoi criteri di ammissione al rimborso. Eppure gli enti territoriali cercano di ridurre la spesa farmaceutica, con mezzi che piacciono poco, anche al ministero della Salute.

01 AGO - Qualche tempo fa, Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale (Simg), aveva esortato a non preoccuparsi più tanto del fatto che un medicinale fosse una specialità a marchio o un generico, ma piuttosto di preoccuparsi del gran numero di farmaci che, prescritti, non vengono poi assunti. Insomma, farmaci sprecati. La stessa preoccupazione, evidentemente, hanno, in Gran Bretagna, i Primary care trust (PCT, gli enti sanitari locali cui fanno riferimento i medici di medicina generale). Due le misure che sono state messe in campo. La prima è un taglio netto alla durata della prescrizione. Molti PCT, infatti, hanno consigliato ai general practitioner (cioè i medici di medicina generale) di limitare la prescrizione alle confezioni necessarie a 28 giorni di terapia, anziché al periodo massimo di 56 giorni. Secono i dati di uno di questi PCT, NHS Enfield di Londra, l’esortazione a meglio calibrare le ricette avrebbe permesso di ridurre lo spreco di farmaci di un terzo (peraltro senza entrare nel dettaglio del calcolo di questo risultato).
La misura è improntata al buon senso, a differenza per esempio della spinta a dispensare all’ingrosso che si è verificata negli Stati Uniti attraverso il sistema degli ordini per posta. Rischia però di apparire odiosa per una circostanza fatta subito notare dalla rappresentante delle Associazioni dei pazienti Roswyn Hakesley-Brown, e cioè l’aumento di 20 pence (0,23 euro) della compartecipazione alla spesa dei cittadini su ciascuna prescrizione, ragion per cui l’aumento del numero di ricette per lo stesso periodo di terapia si tradurrebbe in una tassa sulla salute occulta.
Alla fine non è mancata una presa di posizione della British Medical Association, affidata a Bill Beeby, presidente del sotto comitato clinico-prescrittivo del comitato per la medicina generale. Beeby ha dichiarato al BMJ che si tratta di un argomento che tende a ripresentarsi periodicamente, e ha ribadito che ridurre la fornitura a 28 giorni può essere una soluzione adeguata  per alcuni pazienti, ma non per altri e che comunque deve essere il medico a decidere caso per caso “A noi “ha concluso “ questa indicazione era stata prospettata come un suggerimento” quindi non come una regola cui adeguarsi in ogni caso. Di analogo tenore anche l’intervento del Ministero della salute.

Questa, però, non è la sola iniziativa dei PCT sul fronte del taglio della spesa farmaceutica. La seconda, per molti versi preoccupante, è stata messa in luce da una inchiesta della rivista Pulse. Su 134 strutture situate in Inghilterra, Scozia e Galles, ben 73 hanno attuato politiche di restrizioni dei medicinali ammessi alla prescrizione da parte dei general practitioner. Si tratterebbe di farmaci ad alto costo, ovviamente, oppure, come alcune PCT hanno argomentato, a bassa priorità clinica. Peccato che si tratti comunque di farmaci non soltanto registrati ma che hanno superato il vaglio del Nice (National Institue for Health and Clical Excellence), così poco incline a largheggiare nella rimborsabilità che i media statunitensi lo hanno (interessatamente) accusato di voler far morire i pazienti (il che, ovviamente, non è). Tra i medicinali ritenuti tout court troppo costosi per l’impiego sul territorio ci sono le gliptine (antidiabetici orali), il denosumab per l’osteoporosi e anche atorvastatina e rosuvastatina per la riduzione dei livelli delle LDL, tutti farmaci che almeno in alcuni gruppi di pazienti avevano avuito il beneplacito anche del National Prescribing Center. Tra i farmaci a bassa priorità clinica rientrano invece farmaci antiparkinsoniani, contraccettivi ormonali di ultima generazione, gli ormai immancabili farmaci per la disfunzione erettile e alcuni FANS, per i quali tutti esisterebbero - a detta degli enti territoriali - alternative a minor costo. Qui le reazioni negative del Ministero sono state ben più rapide, anche perché è evidente che un regolamento interno di un singolo ente va a limitare non soltanto il diritto del medico, legalmente riconosciuto a livello nazionale, di prescrivere tutto quanto ammesso alla rimborsabilità ma, in pratica, revoca in dubbio la fondatezza delle analisi farmacoeconomiche del Nice e degli altri organismi nazionali. La miopia insita in questa misura è stata sottolineata dal direttore di Pulse, Richard Hoey: “Molti dei farmaci approvati dal Nice e dagli altri enti nazionali non solo sono costo-efficaci, ma probabilmente a lungo termine sono in grado di ripagare almeno in parte il costo sostenuto riducendo il tasso di morbidità e la spesa per i trattamenti futuri”. Ma si sa, il decisore (politica o mercato poco cambia) tende ad agire con un orizzonte limitato all’oggi, anche in Gran Bretagna evidentemente, e  i benefici futuri sono meno affascinanti dell’ipotesi di poter ridurre di colpo la spesa di quei 282 milioni di euro che sembrano essere la posta in gioco.

Maurizio Imperiali
 

01 agosto 2011
© Riproduzione riservata

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