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AriSLA aderisce alla Giornata delle Malattie Rare raccontando le storie dei propri ricercatori


A parlare delle proprie vite sono i sei coordinatori scientifici dei progetti vincitori dell’ultima Call di AriSLA. Sono appassionati d’arte, si ispirano a Rita Levi Montalcini, indossano i panni della principessa Anna di Frozen per amore dei figli. Hanno tutti un sogno nel cassetto: migliorare la vita delle persone con SLA. Tra le figure citate anche quella del premio Nobel Shinya Yamanaka

23 FEB - Anche quest’anno Fondazione AriSLA partecipa alla "Giornata delle Malattie Rare", prevista come sempre l’ultimo giorno di febbraio. Una giornata speciale per ribadire in tutto il mondo l’importanza di impegnarsi per fornire risposte a chi affronta la sfida di vivere con una malattia rara. Una sfida che AriSLA conosce bene e che la spinge a operare dal 2009 per sostenere l’eccellenza della ricerca scientifica italiana sulla SLA, con l’obiettivo di identificare al più presto soluzioni terapeutiche efficaci.
 
Oggi nel nostro Paese sono 6000 le persone che vivono con la SLA, malattia neurodegenerativa che porta alla paralisi progressiva di tutta la muscolatura volontaria, andando a colpire anche la muscolatura che consente di articolare la parola, di deglutire e respirare. AriSLA ha investito oltre 10,6 milioni di euro in attività di ricerca, supportando in questi anni 62 progetti. Oltre 250 sono i ricercatori che hanno collaborato per la realizzazione degli studi: 90 ricercatori hanno meno di 40 anni e 136 sono donne.

"Il nostro sguardo attento al paziente e ai suoi bisogni - afferma il presidente AriSLA, Alberto Fontana - ci avvicina ancora di più al messaggio scelto quest’anno per il Rare Disease Day: ‘Con la ricerca le possibilità sono infinite’. Siamo convinti che grazie alla ricerca, effettuata con metodi rigorosi, sia possibile abbattere ogni limite e aprire la porta alla speranza per milioni di persone che vivono in tutto il mondo con una malattia rara".

In vista del 28 febbraio e in linea con il tema di quest’anno, AriSLA ha deciso di dare voce alle storie di alcuni dei ricercatori che studiano la SLA nel nostro Paese, in particolare ai vincitori dell’ultimo "Bando di concorso per progetti di ricerca 2016", annunciati nelle scorse settimane: Fabrizio d’Adda di Fagagna dell’IFOM - The FIRC Institute of Molecular Oncology di Milano, Raffaella Mariotti dell’ Università degli Studi di Verona,  Antonia Ratti dell’ IRCCS Istituto Auxologico Italiano di Milano, Tania Zaglia del Venetian Institute of Molecular Medicine di Padova, Marta Fumagalli dell’Università degli Studi di Milano, Alessandro Rosa dell’Università “La Sapienza” di Roma.

Sono papà e mamme, accomunati da una profonda passione e dedizione per la scienza. Formati in Italia, hanno vissuto esperienze di dottorato all’estero, chi all’Università di Cambridge o al Children's Hospital a Philadelphia o ancora alla Rockefeller University di New York (USA).

La scelta di diventare un ricercatore per molti è"apparsa chiara sin dal liceo"”, grazie alla passione trasmessa dal proprio professore di biologia, per altri "era già scritto nel DNA, avendo in famiglia già un medico e un fisico". Per qualcun altro che non crede nei momenti Eureka, è stata una scelta maturata nel tempo e descrive "l’opportunità di stare in laboratorio come stare al Luna Park, senza pagare il biglietto".
 
C’è chi invece è stato influenzato dalla presenza di persone malate in famiglia. Tra gli incontri che hanno segnato la loro vita o tra i modelli a cui ispirarsi, emerge la figura di Rita Levi Montalcini, esempio di come una vita possa essere completamente dedicata alla ricerca. Qualcuno ne ricorda le frasi e c’è chi ha avuto la fortuna di incontrarla rimanendone colpito profondamente. Per molti altri, gli incontri significativi sono quelli con i propri docenti durante gli studi universitari, che hanno saputo imprimere forti insegnamenti o dare esempi di impegno e costanza per poter raggiungere risultati.
 
Tra le figure citate anche quella del giapponese Shinya Yamanaka, vincitore del premio Nobel nel 2012 per gli studi sulle cellule staminali, per essere andato oltre il muro di scetticismo della comunità scientifica. A guidarli ogni giorno è la profonda passione per questo lavoro: "E’ questo il motore che mi spinge tutti i giorni. Perché sono più gli insuccessi che i successi che si accumulano quando fai gli esperimenti e se non c’è la passione è difficile continuare".
 
Lorenzo Proia

23 febbraio 2017
© Riproduzione riservata

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