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Quale futuro per l’industria farmaceutica americana?

di Mauro Quattrone

Big Pharma, oggetto di un’offensiva forse inaspettata dal presidente eletto Donald Trump, deve fare i conti con possibili nuove politiche governative miranti a rivedere i prezzi dei farmaci che in Usa costano molti di più che in Europa. Ecco i possibili scenari

18 GEN - Farmaci. Esiste una politica Europea “anti-dumping” sul commercio internazionale? Questo era il titolo di un mio articolo pubblicato da questo Quotidiano il 16 gennaio 2014.
 
Lo scritto cercava di individuare le cause, in quel periodo molto ricorrenti, della scomparsa o dell'impossibilità di rifornimento nella distribuzione, nel nostro paese, di alcuni farmaci, specialmente quelli più costosi e quelli ancora sotto brevetto.
 
Per capire le cause di questo fenomeno, ho analizzato uno studio eseguito nel 2012 dalla “Commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare” con oggetto la disparità dei i prezzi dei farmaci tra i differenti paesi europei, maggiormente industrializzati
 
Questo studio commissionato dal Parlamento Europeo testava i prezzi di 150 farmaci, tra generici ,“brand” e brevettati. L'indice era fatto uguale a 100, riguardava i prezzi del Regno Unito. che veniva posto come base di raffronto con i prezzi degli altri paesi testati. La forbice percentuale relativa ai differenti prezzi tra i paesi rilevava una differenza che si attestava, in più o in meno, tra il 25%.
 
Questa è la ragione, del tutto legale, del “mercato parallelo” operato tra i produttori o/e distributori dei farmaci che privilegiano la vendita dei loro prodotti in quei paesi dove è possibile trarre una maggiore redditività a scapito di quei paesi che vendono farmaci a prezzi inferiori Per questa ragione, in alcuni paesi e per alcuni farmaci, viene meno la presenza, nella distribuzione, di alcuni prodotti
 
Nel mio precedente articolo, avevo allargato la comparazione tra il “paniere dei farmaci” testato in Europa nei confronti dello stesso determinato negli Stati Uniti. In questo caso lo “spread” saliva al 220-230% nel raffronto con il Regno Unito dove l'indice di comparazione era uguale a 100
 
Perché tanta differenza in ordine percentuale e nei singoli prodotti distribuiti negli USA? Interpellati alcuni professionisti nord-americani specializzati nel settore del “price & rembursing” dei farmaci, avevo avuto come motivazioni principali per questa disparità nei prezzi dei farmaci le seguenti motivazioni: la differenza di reddito individuale delle nazioni prese a confronto; la politica europea di intervento governativo, attuata nei confronti della case farmaceutiche, per la determinazione dei prezzi al dettaglio; la posizione dominante dei consumatori europei che, presi complessivamente nel loro insieme, sono potenziali consumatori dei farmaci a differenza del consumatore americano che agisce individualmente solo come soggetto titolare di una polizza assicurativa.
 
Di conseguenza era logico che, nel libero mercato americano, nel commercio dei farmaci l'incontro fra la domanda e l'offerta determina il prezzo, ma nessuno mi ha spiegato che l'offerta dovrebbe essere fatta da un numero rilevante di imprese farmaceutiche e non in una condizione, come l'attuale, di monopolio, duopolio od oligopolio del mercato produttivo e distributivo interno ed internazionale.
 
Qualcuno dei miei interlocutori si è spinto oltre, individuando pratiche commerciali molto opache ai limiti della concorrenzialità, soprattutto con la vendita dei farmaci sotto brevetto che vengono venduti a prezzi relativamente alti, ma quando il brevetto è in scadenza i fornitori americani, venendo meno l’esclusività del pricing-power, tendono a determinare i prezzi “crash” che talvolta cadono molto più velocemente in quei mercati europei dove i prezzi dei generici sono controllati e variati a cadenze temporali. Di conseguenza è sempre il farmaco “brand” a determinare il prezzo sia in presenza di brevetto che in assenza di esso
 
Altro elemento posto in risalto dai miei interlocutori è quello dell'attuale organizzazione dell'industria farmaceutica americana che prevede che la governance, il management e la ricerca risiedano nel territorio americano, mentre la produzione venga de localizzata in paesi terzi (Sud Korea, India, Singapore, Malesia, Messico....)
 
Mi è stato poi confermato che i costi di ricerca supportati dall'industria farmaceutica americana si aggirano sul 10% del totale, mentre la restante parte è supportata da istituzioni private o federali (Università, Fondazioni, fondi statali o federali, lasciti e donazioni private)
 
Queste erano le giustificazioni ufficiali, forse di parte, con cui i professionisti ed operatori del marketing farmaceutico mi resero per motivare la differenza di spread tra i prezzi dei farmaci in Europa e negli USA.
 
Ma forse la risposta più realistica a questo alto differenziale è venuta dalla prima conferenza indetta, come presidente eletto, da Donald Trump l'11 Gennaio scorso. Trump, come nel suo stile, ha sferzato un duro attacco alla Big Pharma americana, motivando le sue accuse con il fatto che il popolo americano paga i prezzi più alti al mondo per la prescrizione di farmaci e che milioni di persone non possono permettersi le medicine di cui hanno disperatamente bisogno. Ma allo stesso tempo, le case farmaceutiche fanno affari d'oro delocalizzando le loro produzione in paesi terzi, senza alcuna ricaduta positiva sui costi di produzione e vendita, ed i loro amministratori delegati guadagnano pacchetti di compensi esorbitanti.
 
Il Presidente ha ricordato inoltre che BigPharma influenza la politica e l'economia con un infinità di lobbies e di lobbisti, forse dimenticando che l'influenza dei lobbisti è bipartisan e coinvolge sia il suo Partito che quello Democratico.
 
Non potendo intervenire direttamente sulla contrattazione del prezzo dei farmaci in un sistema di libero mercato in cui non esiste una autorità centrale governativa deputata alla negoziazione, Trump ha delineato quella che sarà la strategia della nuova amministrazione della Casa Bianca, in previsione di una controriforma dall'Obamacare
 
Sarà l'assicurazione parastatale Medicare a negoziare i prezzi di rimborso e di vendita dei farmaci, in sintonia con la già sperimentata attività della contrattazione praticata nei confronti dei farmaci che riguardavano la cura di sei patologie protette quali tumori, alcune malattie virali, epilessia, schizofrenia, farmaci anti rigetto, depressione.
 
Alcuni rappresentanti politici americani si sono spinti oltre e hanno paventato l'idea di “un mercato parallelo” di stile europeo, reimportando farmaci prodotti e/o distribuiti in altri paesi a costi inferiori, facendo riferimento in particolare al Canada, all'Australia e all'Europa.
 
Il tutto rideterminando un sistema di commercio internazionale dei farmaci che attualmente fa uso, molto spesso, di dumping commerciale (farmaci venduti oltre oceano a prezzi molto più bassi di quelli praticati sul mercato interno) o dumping sociale, mancato rispetto delle leggi in materia di sicurezza, diritti del lavoratore e tutela ambientale, che consente a un'impresa di ridurre i costi di produzione de localizzando la produzione all'estero
 
La reazione della grande industria farmaceutica non si è fatta attendere. Il giorno successivo al discorso di Trump, il Nasdaq Biotechnology Index è caduto del 3,4 percento alla borsa di New York, i rappresentanti di BigPharma hanno reagito mettendo in evidenza che la ricerca biotecnologica è molto costosa poiché necessita di importanti investimenti e che non esisterà in futuro alcun incentivo per la produzione di nuovi farmaci con una politica che tende a calmierare i prezzi e il maggior prezzo verrà pagato dalla società civile che ricerca nuovi e più efficaci rimedi per combattere le vecchie e le nuove patologie. In questa situazione le industrie farmaceutiche saranno incentivate a produrre farmaci con bassa tecnologia e/o farmaci equivalenti.
 
Forse esistono altri fondati timori da parte dell'industria farmaceutica nord americana in base alla convinzione che alcuni farmaci brevettati prodotti e testati sul mercato estero possano diminuire la quota di mercato e di conseguenza i profitti derivanti dalla mancata vendita di omologhi prodotti che curano le stesse patologie ma con principi attivi differenti.e con prezzi molto più alti.
 
Il protocollo commerciale stipulato da Obama con il Governo cubano per la commercializzazione di alcuni farmaci antitumorali “immunology based” prodotti a Cuba, di basso costo e poco tossici, quali il CimaVax e il Vaxira ha posto le basi e la possibilità di sperimentazione di questi farmaci presso centri d'eccellenza oncologici americani, aspettando però il via libera che dovrà dare la FDA.
 
Nel frattempo è sorto un prospero turismo sanitario verso l'isola caraibica o verso paesi del Sud America che commercializzano questi farmaci (Venezuela, Perù, Argentina).
 
Sicuramente BigPharma oramai dovrà decidere la nuova strategia ed una nuova mission, sia nella sperimentazione sia nella commercializzazione e vendita dei farmaci.
 
Facendo i conti da una parte con il nuovo Presidente, aspettando la nuova riforma sanitaria e dall'altro, forse, dovrà far tesoro anche delle affermazione dell'OMS che in relazione alla produzione dei farmaci ha dichiarato che le industrie produttrici dovrebbero basare la ricerca e la produzione facendo riferimento alla esigenze ed aspettative delle popolazione e non alle esclusive esigenze di profittabilità commerciale
 
Mauro Quattrone
Consulente Agenas

 

18 gennaio 2017
© Riproduzione riservata

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