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Chirurgia e anemia. Rischio mortalità aumenta dal 3 al 10%. Convegno del Centro nazionale sangue per gestire il problema in ostetricia e nel peri-operatorio


Il mancato trattamento dell’anemia pre-operatoria equivale all’erogazione di prestazioni sanitarie sub-ottimali. Infatti, è noto che essa è un fattore di rischio per complicanze nel postoperatorio e, quindi, una controindicazione all’effettuazione di interventi chirurgici (programmati) che prevedano un importante rischio di sanguinamento. Secondo i dati OMS dal 5 al 20% della popolazione Italiana è affetta da anemia (moderata).

15 NOV - Migliaia di pazienti rischiano complicanze affrontando un intervento di chirurgia maggiore perché entrano in sala operatoria con anemia, un problema che potrebbe essere evitato con una serie di tecniche e strategie multidisciplinari che vanno sotto il nome di Patient Blood Management (PBM). Di questo si è discusso oggi a Roma durante il convegno "Patient Blood Management: strategie operative in ostetricia e nel peri-operatorio" organizzato dal Centro Nazionale Sangue - Istituto Superiore di Sanità con alcuni dei maggiori esperti internazionali del settore.

Secondo alcuni studi affrontare da anemici un intervento di chirurgia maggiore può aumentare il rischio di mortalità dal 3% al 10%, e secondo i dati OMS dal 5 al 20% della popolazione Italiana è affetta da anemia (moderata). Il convegno, così come la campagna "Only One" appena lanciata e le linee guida sul PBM per tutti gli ospedali del SSN, di prossima pubblicazione fanno parte delle misure di promozione del PBM che il CNS sta adottando anche per mandato del Decreto Ministeriale del 2 novembre 2015.

"La corretta gestione del paziente alla vigilia di un intervento chirurgico è un momento cruciale – spiega Giancarlo Liumbruno, Direttore del Centro Nazionale Sangue -. Sappiamo che il mancato trattamento dell’anemia pre-operatoria equivale all’erogazione di prestazioni sanitarie sub-ottimali. Infatti, è noto che essa è un fattore di rischio per complicanze nel postoperatorio e, quindi, una controindicazione all’effettuazione di interventi chirurgici (programmati) che prevedano un importante rischio di sanguinamento".

Il PBM consiste in una serie di tecniche farmacologiche e non farmacologiche da adottare prima, durante e dopo l’intervento secondo tre "pilastri": ottimizzare la capacità di produrre globuli rossi, ad esempio trattando l’anemia prima dell’operazione; ridurre al minimo il sanguinamento, un risultato ottenibile con tecniche chirurgiche particolari o utilizzando terapie specifiche; ottimizzare la tolleranza verso l’anemia, agendo anche con farmaci sulla capacità dell’organismo di tollerarla. Se ben applicato, il PBM oltre a evitare le complicanze, può ridurre i tempi di degenza e ridurre fino al 20% i costi legati alle terapie trasfusionali.

Il convegno ha affrontato l’adozione del PBM in ostetricia per salvaguardare la salute della donna, con i contributi di Paolo Scollo, presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia e Claudio Velati, Presidente della Società Italiana di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia, ma anche di esperti internazionali come Haleema Shakur della London School of Hygiene and Tropical Medicine, che ha presentato in anteprima mondiale alcuni risultati preliminari del trial clinico "Woman", in cui un farmaco a basso costo, l’acido tranexamico, è stato testato su 20mila donne in 21 paesi per prevenire l’emorragia post parto, la prima causa di morte materna nei paesi a medio e basso reddito che uccide ogni anno 100mila donne nel mondo.

Nella seconda parte, moderata da Luigi Tritapepe, in rappresentanza della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva e da Giuseppe Sessa, Presidente della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, si è affrontato il tema delle misure per evitare la trasfusione nel periodo perioperatorio.

Proprio con questo fine è nata la campagna "Patient Blood Management - Only One", dopo un percorso di collaborazione che ha visto impegnato il CNS insieme alla Società Italiana di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia (SIMTI), all’Associazione Nazionale Medici Direzioni Ospedaliere (ANMDO), alla Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI), alla Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT) e alla Società Italiana per lo Studio dell’Emostasi e della Trombosi (SISET), con il supporto del Ministero della Salute, della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e delle Associazioni e Federazioni dei donatori italiani del sangue (AVIS, CROCE ROSSA, FIDAS, FRATRES).

L’obiettivo è l’adozione del Patient Blood Management da parte delle strutture del SSN e la promozione del comportamento standard che prevede il trattamento trasfusionale dell’anemia, nel paziente stabile non emorragico, mediante la prescrizione di una unità di sangue alla volta (preceduta da rivalutazione clinica prima di ogni ulteriore trasfusione) e l’adozione di strategie trasfusionali "restrittive".
 
Lorenzo Proia

15 novembre 2016
© Riproduzione riservata

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