Alzheimer: una scoperta italiana rivela un possibile biomarcatore di malattia early stage
di Maria Rita Montebelli
Una modifica particolare delle proteine sinaptiche, detta SUMOilazione, potrebbe rappresentare un biomarcatore di Alzheimer in fase pre-clinica, cioè prima della comparsa dei sintomi, da ricercare nel liquor e forse anche nel plasma dei pazienti. Ma si spera che in prossimo futuro possa diventare anche un nuovo target di terapia. La scoperta, fatta presso l’Istituto di ricerca scientifica sul sistema nervoso (Ebri), fondato da Rita Levi Montalcini è pubblicata su Molecular Neurobiology
28 OTT - Si chiamano proteine SUMO, non hanno niente a che vedere con i massici atleti giapponesi impegnati nella nobile lotta corpo a corpo (l’acronimo sta per
Small Ubiquitin-like Modifier), ma potrebbero dischiudere presto nuovi orizzonti nella diagnosi precoce e forse un giorno anche nel trattamento dell’Alzheimer. A sostenerlo è
Marco Feligioni, un cervello italiano rientrato dalla Gran Bretagna dove ha iniziato le sue ricerche sul complesso mondo della SUMOilazione e approdato, dopo un passaggio al Mario Negri, all’EBRI, l’istituto di ricerche voluto dal Nobel Levi-Montalcini. Il gruppo di Feligioni ha appena pubblicato su
Molecular Neurobiology un’interessante scoperta relativa alle proteine SUMO che potrebbe portare ad un test per la diagnosi precoce dell’Alzheimer.
“Lavoro da molti anni sulla proteina SUMO – ricorda Feligioni, che all’Ebri dirige il laboratorio di biologia molecolare cellulare – Ho iniziato presso il laboratorio di plasticità sinaptica dell’Università di Bristol; poi, una volta tornato in Italia, ho portato da noi questa linea di ricerca e oggi siamo l'unico laboratorio italiano che lavora su questa proteina a livello del sistema nervoso centrale.”
La SUMOilazione è un processo ubiquitario che avviene in tutte le cellule del corpo. Consiste in pratica nel fatto che questa proteina SUMO, per sua natura ‘appiccicosa’, incollandosi alle altre proteine ne modifica la funzionalità in svariati modi. Ad esempio ne può modificare lo stato di aggregazione, la posizione nella cellula, la trascrizione, ecc. Nell’Alzheimer ad esempio la SUMOilazione modifica l’aggregazione della proteina trans-membrana APP (
amyloid precursor protein) e della tau, cioè delle proteine implicate nella patogenesi di questa condizione.
Le nostre ricerche – spiega Feligioni – ci hanno portato a scoprire che il livello di SUMOilazione molto importante a livello delle sinapsi: se aumenta, questo provoca una riduzione del rilascio dei neurotrasmettitori. E questa è un po’ la chiave dell’Alzheimer perché in questa patologia le sinapsi sono meno funzionanti e pian piano vanno a morire, seguite poi nella progressione della malattia dalla morte delle cellule nervose. La proteina SUMO potrebbe dunque rappresentare un po’ il
priming della malattia e concorrere alla sua progressione”.
La ricerca appena pubblicata evidenzia che il processo di SUMOilazione risulta aumentato nelle sinapsi di topi transgenici per APP, utilizzati come modello di Alzheimer.
“Abbiamo trovato che già a 6 mesi – spiega Feligioni - età in cui i topi ancora non mostrano accumulo di placche di beta amiloide, è già rilevabile un aumento di SUMOilazione nelle sinapsi.
Insomma abbiamo trovato una modificazione a livello sinaptico che precede la comparsa della patologia”.
Si tratta di una scoperta molto interessante perché gruppi di ricerca di tutto il mondo stanno da anni cercando di individuare un biomarcatore ‘precoce’ di Alzheimer che consentirebbe ad esempio di testare terapie preventive prima della fase conclamata della malattia, quando ormai il danno è consolidato e resta ben poco da fare sul versante del trattamento.
“Se fossimo in grado di evidenziare una elevata SUMOilazione a livello del plasma o del liquor dei pazienti – spiega Feligioni - in una fase precoce della patologia (ad esempio nei pazienti MCI, cioè con deterioramento cognitivo lieve), magari questo potrebbe diventare un biomarcatore”.
Per testare questa ipotesi, a breve partirà uno studio in collaborazione con la Casa di Cura Privata del Policlinico Dezza di Milano che ha la direzione scientifica del dottor Massimo Corbo. Attingendo alla bio-banca di liquor e sangue di pazienti sia MCI che Alzheimer, attivata all’interno di questo ospedale, potremo cominciare a valutare la possibilità di utilizzare il livello di SUMOilazione come biomarcatore”.
La SUMOilazione si misura con tecniche analitiche tipo ELISA, Western blotting e,in futuro, forse anche con tecnologie analitiche alternative. Attualmente non è disponibile un test da utilizzare in clinica perché si è ancora in una fase di ricerca di frontiera. “Un test di questo tipo – afferma Feligioni - potrebbe tuttavia arrivare già alla fine del prossimo anno, quando saranno disponibili i primi dati sullo studio del liquor dei pazienti, che ci diranno se stiamo andando nella giusta direzione e se questo test potrà essere utilizzato come biomarcatore dell’
early stage Alzheimer”.
Ma l’interesse di questa scoperta potrebbe non limitarsi al versante ‘diagnosi precoce’.
“In una seconda fase della ricerca – prosegue Feligioni – abbiamo prodotto, avvalendoci di ceppi batterici, dei peptidi sintetici, in grado di mimare il processo di SUMOilazione e modificarlo. In questo modo siamo riusciti a dimostrare che abbassando il livello di SUMOilazione, il rilascio di neurotrasmettitori tornava pari a quello dei topi del gruppo di controllo. Insomma, la SUMOilazione potrebbe diventare un futuro
target di terapia nell’Alzheimer”.
Maria Rita Montebelli
28 ottobre 2016
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