Tumori della tiroide: 560.000 diagnosi ‘di troppo’ negli ultimi vent’anni
di Maria Rita Montebelli
L’allarme lanciato sul New England Journal of Medicine firmata dallo IARC e dal CRO di Aviano. Negli ultimi anni c’è stata un’ impennata di carcinomi papillari della tiroide, a fronte di tassi di mortalità sostanzialmente stabili. Di certo l’introduzione in clinica dell’ecografia, che ha soppiantato la palpazione della tiroide per la diagnosi ha dato un grande impulso, come anche un’aumentata sorveglianza sanitaria nelle popolazioni a rischio, tipo quelle di Fukushima. Ma i conti non tornano
07 SET - E’ una forma particolare di epidemia, causata dall’uomo come tante altre, ma allo stesso tempo diversa da tutte le altre. E a denunciarne l’esistenza, dalle pagine del
New England Journal of Medicine è un gruppo di esperti dello IARC di Lione e del Centro di Riferimento Oncologico (CRO) di Aviano. L’idea è che, almeno per quanto riguarda le patologie neoplastiche, e più nello specifico i carcinomi papillari della tiroide (che sono i più frequenti, rappresentando l’80% dei casi), ci troviamo al cospetto di un
bias da eccesso di diagnosi.
I più ‘esuberanti’ del mondo nel fare diagnosi di tumore della tiroide sono i sud coreani; in questo paese l’incidenza di questo tumore tra i soggetti di 15- 79 anni è passata da 12,2 casi per 100.000 persone nel periodo 1993-1997 a 59,9 casi per 100.000 nel periodo 2003-2007, facendolo schizzare così al primo posto come frequenza tra i tumori delle donne.
Di certo, riflettono gli esperti, l’introduzione di metodiche diagnostiche quali ecografia, TAC e risonanza, la maggior attenzione dei medici al problema e la facilità di accesso ai servizi sanitari possono aver tutti giocato un ruolo nel determinare questo incredibile aumento di diagnosi di piccole lesioni papillari della tiroide. E di certo la sorveglianza sanitaria in popolazioni ad alto rischio come quelle della prefettura di Fukushima ha contribuito non poco a questo aumento di diagnosi (l’incidenza di cancro della tiroide tra i bambini e gli adolescenti screenati dopo l’incidente nucleare del 2011 è risultata 30 volte più elevata della media nazionale).
Ma il sospetto di una esagerazione in tutte queste diagnosi resta. Lo dimostra anche il fatto che i tassi di mortalità per questo tumore sono sostanzialmente gli stessi di quando si facevano molte meno diagnosi. E gli esperti dello IARC e di Aviano si sono fatti due calcoli sull’ammontare di questo eccesso di diagnosi nelle ultime due decadi in alcune nazioni ad alto reddito, basandosi su metodi sviluppati di recente e su registri tumori contenenti dati di elevata qualità. Utilizzando come parametro di riferimento le popolazioni delle nazioni con registri tumori di lunga tradizione, i ricercatori sono andati a valutare i trend di incidenza dei tumori della tiroide per età negli anni ’60 , in epoca pre-ecografia. Le curve storiche per età sono state utilizzate per stimare il numero di casi attesi nel caso in cui i tumori della tiroide si fossero continuati a diagnosticare solo con la palpazione del collo.
Non sorprende che le curve specifiche per età siano cambiate in maniera drastica dagli anni ’80, anche se in maniera diversa per le varie nazioni; in particolare, l’incidenza è aumentata progressivamente tra le donne di mezza età e anche tra gli uomini; molto meno tra i soggetti più anziani, andando così a disegnare delle curve a ‘U’.
Questo eccesso di casi , ben al di là dei numero previsto sulla base del modello multistadio di diagnosi di malattia asintomatica, sarebbe attribuibile all’aumentata accuratezza diagnostica e all’aumentata sorveglianza, in particolare nei soggetti giovani o di mezz’età.
Tra le nazioni più colpite da questa epidemia da eccesso di diagnosi nelle donne figura anche l’Italia, accanto a Francia e USA. Spaventoso, come visto, l’aumento dei casi diagnosticati tra le donne sud coreane di 50-59 anni (dai 35 casi/100.000 del 1998-2002 agli oltre 120/100.000 del 2003-2007). Un fenomeno questo, secondo gli esperti, ascrivibile in gran parte al fatto che in questo paese dal 1999 è stato introdotto lo
screening ecografico del cancro della tiroide, al quale si è sottoposto il 13% della popolazione, e ben il 26% delle donne tra i 50 e i 59 anni.
Lo pseudo-aumento di incidenza negli USA, in Australia e in Italia è iniziato invece già negli anni ’80, quando l’introduzione dell’ ecografia in ambito ostetrico-ginecologico, ha avuto come ‘effetto collaterale’ un aumento di controlli della tiroide nelle donne in età riproduttiva.
Insomma ‘troppi’ controlli e troppa sorveglianza possono portare a vedere anche quello che non c’è. E gli autori dell’articolo sul
New England hanno provato a quantificarlo: 228.000 diagnosi di troppo di tumore della tiroide negli USA dal 1998 al 2007, 65.000 in Italia, 46.000 in Francia, 36.000 in Giappone. E in Corea del Sud? Almeno 77.000 tra il 1993 e il 2007.
Al fenomeno delle diagnosi di troppo non sono tuttavia immuni neppure Australia (10.000), Scozia e Inghilterra (7.000), le nazioni del nord Europa (Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia) con 6.000 casi.
La lettura degli esperti è ferma al 2007, perché non sono disponibili dati per gli anni successivi, ma stando alle stime più recenti (2003-2007) è possibile affermare che la percentuale di diagnosi ‘di troppo’ ammonta al 90% del totale in Corea del Sud, al 70% del totale per Usa, Francia, Italia e Australia; al 50% di tutti i casi in Giappone, Inghilterra-Scozia e nazioni del nord Europa. A farne le spese sono soprattutto le donne, ma anche gli uomini fanno la loro parte.
Complessivamente gli autori stimano che almeno 470.000 donne e 90.000 uomini siano stati sovra-diagnosticati per tumore della tiroide nelle ultime due decadi, in 12 nazioni. Numeri che meritano una profonda riflessione.
Maria Rita Montebelli
07 settembre 2016
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