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Inquinamento e asma. Il legame c’è. La conferma dall’analisi dei residui di salbutamolo nelle acque reflue. La ricerca del “Mario Negri”


Per tre mesi le acque reflue provenienti dalla città di Milano sono state campionate quotidianamente. Incrociando i dati provenienti dall’analisi delle acque reflue relativi al numero medio di dosi giornaliere consumate nella città di Milano e quelli messi a disposizione dall’ARPA Lombardia è stato possibile trovare una correlazione diretta e statisticamente significativa fra i livelli di PM10 e PM2.5 e le dosi di salbutamolo impiegate.

05 LUG - Esiste un legame fra i livelli di inquinamento e gli attacchi d’asma. È evidente e diretto. A dirlo è una ricerca, pubblicata sulla rivista Enviromental Research, condotta presso l’IRCSS Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano. Tre i dipartimenti dell’Istituto coinvolti nello studio: Ambiente e Salute, Epidemiologia e Ricerca Cardiovascolare.
 
I ricercatori hanno utilizzato una tecnica di analisi delle acque reflue che viene applicata per lo studio delle malattie ambientali. Per tre mesi, da ottobre a dicembre, le acque reflue provenienti dalla città di Milano sono state campionate quotidianamente prima di essere immesse nel depuratore di Nosedo. Sono stati analizzati i residui di salbutamolo, il principio attivo presente nei farmaci impiegati per contrastare il broncospasmo durante le crisi asmatiche. In contemporanea ARPA Lombardia ha fornito i dati relativi alle concentrazioni giornaliere di una serie di inquinanti quali il particolato sottile (PM10 e PM2.5), il biossido di azoto, il biossido di zolfo e il benzene.
 
Incrociando i dati provenienti dall’analisi delle acque reflue relativi al numero medio di dosi giornaliere consumate nella città di Milano e quelli messi a disposizione dall’ARPA Lombardia è stato possibile trovare una correlazione diretta e statisticamente significativa fra i livelli di PM10 e PM2.5 e le dosi di salbutamolo impiegate. In particolare, ad ogni aumento di PM10 di 10 microgrammi/m3 corrisponde un aumento del 6% di dosi di salbutamolo impiegate dalla popolazione milanese.
 
“Studi precedenti avevano dimostrato come l’aumento delle concentrazioni di PM10 o di ossidi di ozono possa peggiorare patologie quali asma e BPCO”, commenta Adriano Vaghi, Responsabile Gruppo di Studio dell’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO) BPCO, Asma e Malattie allergiche e Direttore UO complessa di Pneumologia Osp Garbagnate Mi (ASST Rhodense).
 
“In questi lavori il rischio veniva quantificato tenendo conto di parametri quali le visite in pronto soccorso, le ospedalizzazioni o le visite presso l’ambulatorio del medico di base. Con uno studio pubblicato nel 1999 Pope e colleghi, ad esempio, avevano osservato, su un vasto campione di soggetti che, per ogni incremento di 10 ug/ metro cubo di PM10 il rischio di ospedalizzazioni o di visite in pronto soccorso aumenta del 1.5% e quello di peggiorare l’asma aumenta del 3%. Considerando che nei periodi invernali le concentrazioni atmosferiche di PM10 raggiungono i 100-150 ug/ metro cubo è evidente quale possa essere l’effetto dell’inquinamento sulla salute della popolazione e, in particolare, nei soggetti asmatici”, continua Vaghi.
 

“La novità introdotta dallo studio condotto presso l’istituto di ricerca Mario Negri è rappresentata dalla metodica utilizzata. Si tratta di un tecnica innovativa in quanto consente di correlare in tempo reale il peggioramento della sintomatologia con l’inquinamento in tutti i soggetti asmatici utilizzando come proxy del peggioramento clinico l’utilizzo di un farmaco sintomatico come il salbutamolo. Questo lavoro conferma l’esistenza di un rapporto causale fra inquinamento atmosferico e patologie respiratorie che non possiamo più trascurare”, conclude Adriano Vaghi.

05 luglio 2016
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