Morirai per un’infezione entro pochi anni? Te lo dice un esame del sangue
di Maria Rita Montebelli
Si chiama GlycA e più alti sono i suoi livelli nel sangue, maggiore il rischio di mortalità prematura causata da una grave infezione. Lo suggeriscono i risultati di uno studio internazionale che getta le basi per un inedito filone di ricerche. Ma che fornisce anche un esempio eccellente di come la collaborazione internazionale e interdisciplinare di ricercatori ‘altruisti’ possa portare a risultati di enorme rilevanza scientifica in tempi contenuti.
23 OTT - Un nuovo test del sangue consentirà di predire con esattezza se si è a rischio di morire di setticemia o patologie infettive come la polmonite, nell’arco di 14 anni. A certificarlo sono i risultati di un articolo appena pubblicato su
Cell Systems, rivista serissima che poco ha a che spartire con tarocchi e cartomanti.
Queste considerazioni scaturiscono da una ricerca che ha esaminato oltre 10 mila soggetti, nei quali è stato possibile individuare un biomarcatore, un prodotto di scarto del metabolismo dell’infiammazione, il cosiddetto GlycA, che sarebbe appunto in grado di predire un exitus precoce da malattie infettive.
Le concentrazioni ematiche di GlycA stanno ad indicare uno stato di infiammazione cronica, derivante da un’infezione cronica di non particolare gravità o da una risposta immunitaria esuberante. Sul fatto che l’infiammazione danneggi l’organismo sono stati versati fiumi di inchiostro, ma in questo studio, l’infiammazione viene correlata ad una maggiore suscettibilità alle infezioni di elevato livello di gravità e questo rappresenta un inedito.
“Come ricercatori biomedici – commenta uno degli autori dello studio,
Michael Inouye, Università di Melbourne (Australia) - è nostra intenzione aiutare la gente e ci sono poche cose più importanti del riuscire a individuare, tra soggetti in apparente buono stato di salute, quelli che potrebbero essere ad aumentato rischio di malattia e di mortalità. È nostra intenzione tentare di corto-circuitare quel rischio, ma per farlo abbiamo bisogno di capire qual è il reale significato di questo biomarcatore ematico. Di certo sono necessario effettuare ulteriori studi per scoprire i meccanismi che legano il GlycA all’infiammazione e alla morte prematura e anche per stabilire con certezza se questo marker potrà avere un giorno rilevanza clinica.”
Sarà necessario ad esempio chiarire se un’elevata concentrazione di GlycA sia il risultato di un’infezione microbica cronica, di basso livello o una reazione aberrante del sistema immunitario.
E comunque, prima che il test entri nelle corsie d’ospedale o nei laboratori di analisi cliniche, è necessario affrontare anche un’altra questione. “Personalmente non mi sottoporrei ad un test del genere – ammette un altro autore,
Johannes Kettunen, Università di Oulu e National Institute for Health and Welfare, Finlandia – se fossi certo che, una volta ricevuta una sentenza del genere, non ci fosse nulla da fare per ridurre o eliminare il rischio di morire di infezione”.
I risultati di questo studio sono comunque di grande importanza scientifica e di certo serviranno come punto di partenza per una serie di altre ricerche. “Questo studio – conclude Inouye - è un esempio dei progressi che possono essere fatti quando ricercatori altruisti, volontari, clinici, tecnici e statistici collaborano tutti insieme. Ma possiamo fare anche di meglio e sono vitali a tali proposito iniziative inter-disciplinari strategiche e su vasta scala”.
Immagine, credits: Ritchie et al./
Cell Systems 2015
Maria Rita Montebelli
23 ottobre 2015
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