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La dieta migliore? Si potrebbe scegliere anche in base ai batteri nello stomaco

di Viola Rita

I batteri del tratto gastro-intestinale potrebbero fornire informazioni utili per perfezionare la dieta del singolo paziente. Un metodo computazionale potrebbe in futuro consentire di prevedere la risposta dell'individuo alla dieta in base alla valutazione della composizione di questi batteri. I ricercatori: "presto dovrebbero arrivare le raccomandazioni dietetiche". Lo studio su Cell Metabolism

16 SET - I batteri nel tratto gastro-intestinale potrebbero fornire indicazioni utili per personalizzare la dieta in maniera ancora più efficace. Lo afferma uno studio scientifico condotto* dalla Chalmers University Of Technology, a Göteborg, in Svezia, e da altri Istituti; lo studio è avvenuto nell’ambito del progetto Metacardis, finanziato dall’Unione Europea e coordinato dalla Professoressa Karine Clement**. La ricerca è pubblicata sulla rivista Cell Metabolism. Gli autori riferiscono che in un tempo breve si dovrebbero delineare raccomandazioni dietetiche che tengano conto anche della composizione dell’insieme dei batteri del tubo digerente dell’individuo.
 
In generale, circa 1000 tipi diversi di batteri possono colonizzare il sistema digestivo umano, partecipando alle operazioni del metabolismo. Tuttavia, la composizione di questi microorganismi può variare molto da individuo a individuo e può avere un collegamento con alcune malattie, come hanno dimostrato recenti ricerche scientifiche. “Questo vale, ad esempio, per il diabete di tipo 2, l'indurimento delle arterie e l'obesità”, spiega Jens Nielsen. “Esistono indicazioni per le quali la stessa [connessione ndr] potrebbe avvenire anche nel caso della depressione e della capacità del corpo di rispondere a vari trattamenti contro il cancro”. Le modalità con cui questi batteri interagiscono col cibo assunto, col metabolismo e con le caratteristiche del singolo individuo non sono ben chiare e la loro comprensione risulta estremamente complessa, spiegano gli scienziati.  
Per approfondire questi meccanismi, il team di ricerca della Chambers ha studiato oltre 1000 tipi di batteri del tratto gastro-intestinale umano, individuando alcune modalità con cui alcuni tra i più comuni microorganismi intestinali interagiscono tra loro e con altri componenti nell’insieme delle reazioni che avvengono durante il metabolismo. Per farlo, gli scienziati hanno sviluppato un metodo di calcolo matematico, che modellizza il microbiota intestinale umano, cioè l’insieme di tutti i batteri intestinali dell’individuo, su scala del genoma. Secondo i ricercatori, questa piattaforma computazionale è in grado di prevedere la risposta del paziente ad una dieta modificata, il tutto in base alla valutazione della composizione del microbiota intestinale. “Questo metodo ci permette di iniziare ad identificare il metabolismo di ogni singolo tipo di batteri e dunque ad ottenere una chiave per comprendere i meccanismi di base del metabolismo umano”, ha affermato Jens Nielsen, professore di Systems Biology presso la Chalmers, che ha guidato il  team di ricerca universitario.
 
L’algoritmo computazionale permette di calcolare i micronutrienti presenti in ciascun alimento e consente di misurare l’impatto della dieta sul metabolismo del microbiota intestinale umano. Per ulteriori dettagli si rimanda allo studio.
I ricercatori hanno studiato attraverso diverse indagini l’interazione tra i batteri intestinali, il metabolismo e la dieta alimentare in un gruppo di 45 partecipanti in sovrappeso o obesi; inoltre essi hanno validato le predizioni effettuate tramite la piattaforma computazionale con i dati ‘metabolomici’ ottenuti dall’analisi del sangue e delle feci, si legge nello studio, dimostrandone la validità. I ricercatori hanno ‘caratterizzato’ il microbiota intestinale dei partecipanti, assegnando loro una dieta per la riduzione del peso corporeo; tutti i volontari hanno perso peso, come atteso, spiegano gli esperti. IIn particolare, i risultati dello studio hanno mostrato che i soggetti con un basso LGC (Low Gene Count), cioè che presentano un basso numero di geni associati ai batteri, hanno un ridotto microbiota intestinale (una quantità inferiore di batteri presenti) e rispondono meglio alla dieta rispetto agli individui che al contrario presentano un elevato numero di geni associati ai batteri (HGC – High Gene Count).
In base ai risultati della ricerca, infatti, dopo aver effettuato la dieta, i volontari con microbioma intestinale con una bassa diversità (LCG) hanno manifestato una ridotta quantità, nel sangue e nelle feci, di sostanze generalmente associate alla presenza di rischi per la salute, come ad esempio rischi cardiometabolici.
Questo ‘miglioramento’, ottenuto nel sangue e nelle feci, è stato spiegato dai ricercatori come segue: “l’intestino degli individui con microbiota intestinale a bassa diversità producono una quantità inferiore di amminoacidi, quando essi sono a dieta. Si tratta di una spiegazione per i migliori dati chimici riscontrati nel sangue”. Tale variazione non si è invece presentata nel caso di soggetti con alto numero di geni associati ai batteri HGC.
Così, si legge nello studio, la modellizzazione col computer “potrebbe descrivere le alterazioni fecali e dei livello degli amminoacidi nel sangue in risposta alla dieta”.
 
Secondo il Professor Jens Nielsen, nel breve termine i risultati dello studio possono aiutare i medici a identificare i pazienti a rischio di malattie cardiometaboliche e potrebbero permettere l’ottenimento di benefici per la salute attraverso una modifica della dieta di questi pazienti. In un breve periodo di tempo potrebbero arrivare le indicazioni dietetiche che contengano anche i dati sulla composizione dei batteri intestinali.
La Professoressa Karine Clement, inoltre, ritiene che oltre a queste linee guida nuovi esperimenti clinici basati sul follow up potranno essere sviluppati. “Nel lungo termine potremmo essere in grado di aggiungere batteri intestinali nei pazienti il cui metabolismo non funziona correttamente”, spiega Clement.
Attualmente, sono in uso i probiotici - contenuti ad esempio nello yogurt –, che hanno principalmente il ruolo di stabilizzare l’intestino e  favorire la presenza di un ambiente intestinale adeguato. “La prossima generazione di probiotici sarà più incentrata sull’aggiunta di batteri che si integrino direttamente con il microbioma intestinale esistente e che portino un cambiamento duraturo della composizione", ha concluso Jens Nielsen.
 
Viola Rita
 
*Saeed Shoaie, Pouyan Ghaffari, Petia Kovatcheva-Datchary, Adil Mardinoglu, Partho Sen, Estelle Pujos-Guillot, Tomas de Wouters, Catherine Juste, Salwa Rizkalla, Julien Chilloux, Lesley Hoyles, Jeremy K. Nicholson, Joel Dore, Marc E. Dumas, Karine Clement, Fredrik Bäckhed, Jens Nielsen. Quantifying Diet-Induced Metabolic Changes of the Human Gut MicrobiomeCell Metabolism, 2015; 22 (2): 320 DOI:10.1016/j.cmet.2015.07.001
 
**Nel dettaglio, lo studio è stato condotto all’interno di una collaborazione nell'ambito del progetto Metacardis, finanziato dall'Unione Europea; il progetto è stato coordinato dalla professoressa Karine Clement presso l’Institute of Cardiometabolism and Nutrition (Ican, Pitié-Salpêtrière Hospital, Inserm/Sorbonne University) a Parigi e ha incluso anche il professor Fredrik Bäckhed alla University of Göteborg.

16 settembre 2015
© Riproduzione riservata

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