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AIDS: la vittoria a portata di mano. Parla Vella (Iss): “Ma da qui a dire che la partita è chiusa, ce ne vuole”

di Maria Rita Montebelli

Un appello secco a tornare con i piedi per terra e ad abbandonare i facili entusiasmi sulla possibilità di tenere finalmente in pugno l’epidemia di HIV in un editoriale di Lancet di Stefano Vella. Il rischio è che questa epidemia, che fa ancora registrare ogni anno oltre 2 milioni di nuovi casi, cada nell’oblio e sparisca dall’agenda politica. E per centrare l’obiettivo di sconfiggerla entro il 2030, Vella suggerisce una sua strategia in tre mosse

02 SET - E’ uno dei più noti ricercatori nel campo dell’AIDS a livello mondiale, nonché membro del board direttivo di International AIDS Society, vice-presidente di Friends of the Global Fund Europe, membro di un panel dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che si occupa di revisione delle linee guida sugli antiretrovirali, nonchédirettore del Dipartimento del Farmaco all’Istituto Superiore di Sanità.
 
Per questo, quando Stefano Vella afferma – facendolo tra l’altro dalle pagine di Lancet HIV – che, per mettere una croce sull’epidemia di HIV in tempi strettissimi, nei 15 anni che ci separano dal 2030, è necessario rimboccarsi le maniche e lavorare sodo, c’è solo da credergli. La meta è ancora lontana, anche se si comincia ad intravvedere all’orizzonte. Ma se i riflettori dell’attenzione mondiale si spengono troppo presto, la luce in fondo al tunnel rischia di scomparire di nuovo.
 
“La sensazione che si sta diffondendo a livello dell’opinione pubblica - afferma Vella -  è che siamo ormai vicini ad una soluzione definitiva per l’AIDS. Impressione sottolineata anche dai nuovi Sustainable Development Goals  delle Nazioni Unite, che prevedono anche quello di mettere la parola fine all’epidemia di AIDS entro il 2030.
Ora, non è certo mia intenzione dire che questo non sia possibile, ma di certo la strada è ancora molto faticosa, per vari motivi”.
 
E nella sua lucida analisi, affidata ai lettori di Lancet, Vella individua tre fattori critici da affrontare a livello mondiale. E la priorità assoluta è quella di mettere a punto un vaccino anti-HIV.
 
Il vaccino. “Non riusciremo mai a mettere fine all’AIDS - afferma deciso l’esperto – senza mettere a punto un vaccino, da rendere disponibile per le popolazioni che vivono in aree ad alta prevalenza della malattia e per quelle più colpite e marginalizzate del mondo.
C’è un grande entusiasmo per questo concetto ‘treatment is prevention’, ovvero per l’idea che la terapia possa non solo salvare le persone da questa malattia, ma anche impedire, o comunque ridurre molto la trasmissione. Questo però non basta, perché siamo ancora molto indietro nella copertura dei 40 milioni di persone con infezione da HIV nel mondo. E probabilmente è anche un po’ ingenua l’idea di poter arrivare davvero a trattarle tutte. Malgrado tutti i successi e i grandi sforzi fatti fin qui, le persone in trattamento anti-retrovirale sono attualmente non più di 15 milioni in tutto il mondo e questo rappresenta comunque già un successo straordinario”.
 
Di certo non è possibile dimenticare gli incredibili successi fatti dalla terapia negli ultimi vent’anni. Ma i farmaci da soli non rappresentano la soluzione al problema. Anche perché nel mondo si continuano a registrare due milioni di nuovi casi di infezioni da HIV ogni anno e perché solo il 40% dei portatori di infezione da HIV sa di essere sieropositivo.
“Negli ultimi anni – sottolinea Vella - sono successe cose straordinarie nel settore dei vaccini, e sta cambiando tutto. Siamo riusciti finalmente a capire come indurre nei vaccinati degli anticorpi neutralizzanti e anche l’Istituto Superiore di Sanità sta proseguendo le sue ricerche in questo campo. Con due milioni di persone che si infettano ogni anno, non si può sperare di risolvere il problema con la sola terapia. Ci vorrà assolutamente un vaccino da affiancare ai trattamenti”.
 
Nuovi modelli di trattamento. Per mettere fine all’epidemia entro il 2030 sarà necessario anche definire modelli innovativi di trattamento, che siano centrati sul pazienti, decentralizzati e dispensati al di fuori delle strutture sanitarie. Questo sarà fondamentale per vincere le barriere che ancora ostacolano l’espansione del trattamento, soprattutto alla luce delle nuove linee guida che prevedono la somministrazione della terapia antiretrovirale a tutti i soggetti positivi per infezione da HIV.
“Dobbiamo progettare e implementare nuovi modelli di cura, che anche l’Istituto Superiore di Sanità sta sperimentando in Africa. Le cure dovranno essere sempre più decentralizzate rispetto agli ospedali e ai centri di salute, per essere affidate alla community, ai ‘pari’. Questo è l’unico modo per mantenere aderenti al trattamento delle persone, che in quel momento tra l’altro stanno bene. C’è bisogno del supporto dei pari, della comunità. E’ questo il nuovo modello da implementare, perché se dobbiamo trattare 40 milioni di persone, di certo non possiamo contare sugli ospedali”.
 
L’HIV è ancora una priorità. Infine, l’appello ai decisori, perché si impegnino a tenere ben in vista nell’agenda politica la causa dell’HIV, facendo sapere al mondo che la soluzione definitiva è ancora lontana e che saranno necessari ancora molti sforzi e investimenti per centrare questo obiettivo. Senza questo supporto, si perderà la grande opportunità offerta dai progressi della scienza e l’epidemia tornerà a farsi sentire.
“Continuare a dire che ‘stiamo quasi per chiudere’ – sostiene Vella - sta facendo calare l’attenzione sull’AIDS, ma anche sullo scenario della salute in generale. Ne sono prova anche i nuovi Sustainable Development Goals, che saranno firmati alle Nazioni Unite il prossimo 26 settembre. I nuovi ‘obiettivi’ da centrare entro il 2030, andranno a sostituire i vecchi Millennium Development Goals che erano dieci, metà dei quali dedicati a temi di salute. I 17 nuovi ‘obiettivi’ invece, ne prevedono solo uno dedicato alla salute, quasi relegato in un angolo e schiacciato dalle tante altre emergenze globali. Questo naturalmente andrà a diluire le risorse e a ridurre quelle espressamente dedicate alla salute. Bisogna contrastare questa tendenza e cercare nuove risorse perché non bisogna mai dimenticare che la salute è, tra l’altro, anche un elemento di sviluppo”.
 
La battaglia contro l’AIDS è stata speciale, da sempre. Un po’ perché ha messo insieme dei ricercatori ‘attivisti’, perché sono stati creati nuovi strumenti finanziari come il Global Fund, perché ha mobilitato tanti grandi capi di stato a cominciare da Mandela. “E anche la filosofia dell’accesso universale alle cure – ricorda Vella - che sarebbe poi la filosofia della salute globale del futuro, è partita dall’AIDS, perché l’AIDS è proprio un modello di salute globale”.
I progressi fatti con questa malattia sono epocali, da storia della medicina.
“Ma insomma – sottolinea ancora Vella - da qui a dire che la partita è chiusa, ce ne vuole”.
 
Maria Rita Montebelli

02 settembre 2015
© Riproduzione riservata

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