Speciale cardiologia 1. Autopsia al DNA per i giovani traditi dal cuore
di Maria Rita Montebelli
Presentata oggi a Londra, al congresso della Società Europea di Cardiologia la nuova edizione delle linee guida sul trattamento dei pazienti con aritmie ventricolari e prevenzione della morte improvvisa. Il coroner dovrà avvalersi degli strumenti più avanzati di analisi del DNA per scoprire la presenza di un gene malato, da ricercare poi anche nei fratelli della vittima, per evitare loro questa ‘cronaca di una morte annunciata’.
29 AGO - E’ una raccomandazione che sembra uscita da un
thriller di Patricia Cornwell e che ci proietta nell’affascinante mondo delle investigazioni scientifiche. Ma in questo caso il ‘colpevole’ non è un criminale dal viso sfregiato, ma il fato, nella sua veste più negativa. Il ‘consiglio’ degli esperti della Società Europea di Cardiologia è infatti di non limitarsi all’indagine autoptica, nel caso di un giovane improvvisamente deceduto per cause cardiache, ma di ricercare nelle pieghe del suo DNA la presenza di frammenti malati con su scritta questa storia di vita spezzata, da ricercare dunque subito anche in altri membri della stessa famiglia, per deviare il corso di questo destino maligno.
Per la prima volta nella storia, queste linee guida, che rappresentano l’aggiornamento dell’edizione 2006 scritta a sei mani dalle società scientifiche ACC/AHA/ESC considerano l’analisi del DNA, già proposta da diversi documenti di consenso, un componente fondamentale della valutazione autoptica delle giovani vittime della morte cardiaca improvvisa.
“L’analisi molecolare – afferma l’italiana
Silvia Priori, presidente della
Task Force che ha redatto queste linee guida – aiuta ad individuare la presenza di patologie genetiche, che possono verificarsi anche in un cuore strutturalmente normale e che dunque sfuggirebbero se l’indagine
post mortem si limitasse alla classica autopsia. Individuare una causa genetica come substrato di una morte improvvisa, apre la strada alla diagnosi precoce nei parenti stretti della vittima, eventualmente affetti dalla stessa condizione, consentendo dunque di proteggerli attraverso un approccio personalizzato, che va dai cambiamenti dello stile di vita all’impiego tempestivo di alcune terapie”.
Un’altra novità di questo aggiornamento sta nell’inserimento delle ‘raccomandazioni emergenti’, non ancora supportate da evidenze scientifiche così forti da far guadagnare loro lo
status di raccomandazione di Classe I, e comunque promettenti. Un esempio è la raccomandazione di Classe II, livello di evidenza C, che consiglia l’impiego del vecchio antiaritmico flecainide, in aggiunta ai beta-bloccanti, nei pazienti con tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica, che abbiano presentato sincopi ricorrenti o episodi di tachicardia ventricolare polimorfa/bidirezionale durante terapia con beta-bloccanti e nei quali sia troppo rischioso e dunque controindicato l’impianto di un defibrillatore (ICD).
“Questa nuova indicazione per la vecchia flecainide – spiega la professoressa Priori – è di grande importanza, in quanto fornisce un’ulteriore opzione terapeutica a pazienti con una malattia ‘orfana’, con a disposizione un numero limitato di terapie.”
Sul fronte delle nuove tecnologie, entrano nella schiera delle raccomandazioni di classe IIb, i defibrillatori ‘indossabili’ nei pazienti adulti con scompenso sistolico, a rischio di morte improvvisa aritmica per un breve periodo e non candidabili ad impianto di ICD, oltre agli ICD sottocutanei, come alternativa al defibrillatore tradizionale, nei pazienti con accessi venosi difficili, dopo rimozione di un defibrillatore transvenoso a causa di un’infezione o nei giovani che richiedano una terapia ICD di lungo periodo.
Una delle raccomandazioni principali delle nuove linee guida è quella di individuare i pazienti con cardiopatia ischemica ad elevato rischio di morte cardiaca improvvisa e che possano dunque beneficiare dall’impianto di un ICD. Il documento raccomanda di rivalutare la funzione ventricolare sinistra 6-12 settimane dopo un infarto miocardico, per valutare la necessità di una prevenzione primaria attraverso l’impianto di un ICD.
“Questa raccomandazione – commenta la professoressa
Carina Blomström-Lundqvist, co-presidente della
Task Force – si basa sul fatto che molti pazienti con ridotta frazione d’eiezione subito dopo un infarto del miocardio, presentano un miglioramento di questa condizione nel tempo e quindi non richiedono l’impianto di un ICD. Una rivalutazione della frazione d’eiezione è dunque critica per assicurare che vengano fatti tutti gli sforzi per evitare impianti inutili, non trascurando però di individuare al contempo quei pazienti con frazione d’eiezione persistentemente ridotta anche dopo terapia medica, per i quali sia indicato l’impianto di un ICD”.
“Queste linee guida – conclude la professoressa Priori – sottolineano l’importanza della diagnosi precoce nelle condizioni che possono predisporre a morte cardiaca improvvisa; questo può aiutare a salvare delle vite. Uno
screening della popolazione generale sarebbe troppo costoso e non tutti gli esperti lo consigliano. Ma c’è adesso un ampio consenso sul fatto che andrebbe sempre effettuato uno
screening ‘a cascata’ nelle famiglie degli individui affetti e nelle famiglie con una storia di morte cardiaca improvvisa nei giovani”.
Le nuove linee guida della Società Europea di Cardiologia sulla “gestione dei pazienti con aritmie ventricolari e sulla prevenzione della morte cardiaca improvvisa” sono state pubblicate oggi
online su
European Heart Journal e sul sito
web dell’ESC, a coincidere con il calcio d’inizio del congresso della Società Europea di Cardiologia, che si tiene quest’anno a Londra.
Maria Rita Montebelli
29 agosto 2015
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