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Sclerosi multipla: ci si mette anche la noradrenalina


Un gruppo di ricercatori americani dimostra, in esperimenti condotti su topi, che nei malati di sclerosi multipla è presente un deficit del neurotrasmettitore e suggeriscono che farmaci già disponibili possono dare benefici ai malati. Ma è solo un’ipotesi.

15 FEB - Un nuovo tassello si aggiunge alle conoscenze delle cause della sclerosi multipla. Dopo che negli anni sono emerse predisposizioni genetiche, il ruolo di agenti patogeni come il virus di Epstein-Barr e quello della vitamina D e dell’esposizione al sole, quello del fumo e quello dell’istamina. Mentre resta ancora da chiarire del tutto la relazione tra sclerosi e l’insufficienza cerebrospinale venosa cronica, uno studio pubblicato sulla rivista Brain complica ulteriormente il quadro ma dà anche una speranza ai malati: per la prima volta emerge il ruolo di un neurotrasmettitore, la noradrenalina.
Una ricerca condotta su topi ha infatti evidenziato come un danno al locus coeruleus, uno dei nuclei del sistema nervoso centrale dove è situata la gran parte dei neuroni responsabili del rilascio della noradrenalina, lasci campo libero all’insorgenza o alla progressione della malattia.
In precedenti studi, lo stesso gruppo aveva infatti dimostrato come la noradrenalina agisca da immunosoppressore nel cervello prevenendo l’infiammazione. La sostanza inoltre gioca un ruolo importante nel mantenere l’integrità della membrana ematoencefalica.
"Ci sono molte prove della presenza di danni al locus coeruleus nei pazienti con Alzheimer o Parkinson, ma è la prima volta che è stato dimostrato che stress a carico dei neuroni del locus coeruleus è presente anche nei pazienti con sclerosi multipla. Malati, in cui, inoltre, si registra una riduzione dei normali livelli di noradrenalina”, ha spiegato il primo firmatario dello studio Paul Polak.
La scoperta potrebbe essere una buona notizia per i malati: “Abbiamo un sacco di farmaci approvati dall’Fda che hanno mostrato di aumentare i livelli di noradrenalina nel cervello e crediamo che questo tipo di intervento possa produrre benefici nel pazienti con sclerosi multipla e altre patologie neurodegenerative”.
Ma, per il momento, questa è soltanto un’ipotesi che andrà opportunamente verificata. 

15 febbraio 2011
© Riproduzione riservata

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