Cancro. I batteri possono servire per la diagnosi. Lo studio del MIT
di Viola Rita
Un gruppo di ingegneri del MIT ha messo a punto un particolare prototipo di dispositivo per la diagnosi di tumore basato sull’utilizzo di batteri comuni, simili a quelli che si trovano nello yogurt. Questi batteri, programmati per emettere un segnale luminescente rintracciabile attraverso un semplice esame delle urine, assunti per via orale, si accumulerebbero nel microambiente tumorale del fegato, evidenziando la presenza del cancro. Lo studio su Science Translational Medicine
29 MAG - Un gruppo di ingegneri del Koch Institute for Integrative Cancer Research al MIT ha messo a punto una nuova metodologia, ancora in fase di prototipo, per effettuare la diagnosi di cancro: attraverso batteri comuni, simili a quelli presenti nello yogurt. Infatti, utilizzando ceppi innocui di
Escherichia coli che colonizzano il fegato, i ricercatori hanno ‘programmato’ tali batteri in modo che producano un segnale luminescente, rilevabile attraverso un semplice esame delle urine. Per ora la ricerca è stato effettuata su modello animale, con risultati positivi. Lo studio, condotto dai postdoc
Tal Danino del MIT e
Arthur Prindle dell’Ucds, è pubblicato su
Science Translational Medicine.
Precedenti studi, infatti, hanno dimostrato che i batteri possono crescere e svilupparsi nel microambiente tumorale, nel quale sono presenti diversi nutrienti e il sistema immunitario risulta compromesso. Proprio per questo, da anni gli scienziati provano ad utilizzare i batteri come veicolo per i trattamenti antitumorali. E tali microorganismi potrebbero diventare uno strumento per la diagnosi, secondo un filone di ricerca aperto in tempi recenti. Ma perché l’attenzione è concentrata sul fegato? In generale, spiegano gli autori dello studio odierno, molti tipi di cancro, incluso quello del colon-retto e del pancreas, tendono a diffondersi nel fegato dando luogo a metastasi.
Inoltre, le tecniche di generazione delle immagini
(imaging) difficilmente permettono di studiare quest’organo, così rilevare tumori metastatici tramite queste metodologie è un’operazione complessa.
“Esistono degli interventi, come quello di chirurgia o ablazione locale, attraverso i quail I medici verificano se la diffusione della malattia nel fegato è circoscritta e, dato che il fegato si rigenera, questi interventi sono tollerati”, ha spiegato
Sangeeta Bhatia, il John and Dorothy Wilson Professor di Health Sciences and Electrical Engineering e Computer Science al MIT. “Nuovi dati mostrano che questi pazienti possono avere un alto tasso di sopravvivenza, così c’è una particolare necessità di rilevare precocemente le metastasi nel fegato”.
Con questi nuovi sistemi basati sull’utilizzo dei batteri, i ricercatori del MIT affermano di essere in grado di rilevare tumori di circa un millimetro cubo, con un’aumentata sensibilità rispetto alle tecniche di imaging; inoltre, questo strumento potrebbe risultare utile anche nei pazienti cui è stato asportato il colon, per monitorare il rischio di metastasi al fegato.
Questo studio è “di rilievo e fa riflettere rispetto al chiarimento di un nuovo percorso di indagine che può essere messo in atto per la diagnosi precoce di tumore”, ha dichiarato
Andrea Califano, Professore di Scienze Biologiche alla Columbia University (non coinvolto nello studio), che aggiunge che anche le possibilità terapeutiche risultano interessanti.
“Questi batteri potrebbero essere progettati con l’obiettico di distruggere la funzione delle cellule cancerose, trasportare farmaci oppure riattivare il sistema immunitario”, prosegue Califano.
Lo studio
Per trasformare i batteri in dispositivi diagnostici, i ricercatori hanno progettato cellule che esprimono il gene relativo ad un enzima naturale, chiamato
lacZ, che divide il lattosio in glucosio e galattosio. In pratica, gli scienziati hanno realizzato particolari molecole composte da questo enzima, a sua volta legato alla luciferina, una proteina luminescente prodotta ad esempio dalle lucciole, che permette di rilevare la presenza di metastasi nel fegato: la luciferina, infatti, viene scissa dal galattosio ed escreta nelle urine, dove può essere facilmente rintracciata attraverso semplici test di laboratorio.
I ricercatori hanno studiato la possibilità di somministrare i batteri per via orale, un po’ come avviene quando si assumono probiotici consumando lo yogurt: così hanno utilizzato ceppi di Escherichia coli innocui (chiamati Nissle 1917). Questa somministrazione orale fa sì, secondo l’ipotesi dei ricercatori, poi verificata, che i batteri si accumulino principalmente nel fegato invece che diffondersi in tutte le aree tumorali dell’organismo.
In base ai risultati sul modello animale, i batteri probiotici hanno colonizzato circa il 90% del tumore del tumore metastatico, senza mostrare effetti collaterali dannosi, riferiscono gli autori dello studio.
Attualmente, il team di ricerca sta proseguendo gli studi, analizzando sia l’utilizzo dei batteri in ambito diagnostico che in ambito terapeutico, come trattamento contro il cancro.
Viola Rita
*Tal Danino, Arthur Prindle, Gabriel A. Kwong, Matthew Skalak, Howard Li, Kaitlin Allen, Jeff Hasty, and Sangeeta N. Bhatia. Programmable probiotics for detection of cancer in urine. Sci Transl Med, 27 May 2015 DOI: 10.1126/scitranslmed.aaa3519
**La ricerca è stata finanziata da the Ludwig Center for Molecular Oncology at MIT, Prof. Amar G. Bose Research Grant, the National Institutes of Health attraverso the San Diego Center for Systems Biology, e the Koch Institute Support Grant dal National Cancer Institute.
29 maggio 2015
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