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Congresso di epatologia/1.Vienna Capitale mondiale della ricerca sul fegato

di Maria Rita Montebelli

La Società Europea per lo studio del fegato (EASL) festeggia i suoi primi 50 anni, in occasione del suo congresso annuale, a Vienna. NASH ed infezione da virus dell’epatite C le star di questo congresso internazionale. Moltissime le presentazioni sui nuovi farmaci anti-epatite C, che rappresentano la rivoluzione presente e del prossimo futuro.

26 APR - Mezzo secolo fa, una cinquantina di epatologi, riuniti a Marburg (Germania) davano vita ad una nuova società scientifica, l’EASL (European Society for the Study of Liver) che in questi giorni, in occasione del suo congresso annuale in corso a Vienna, festeggia appunto i suoi primi 50 anni, alla presenza di oltre 11 mila epatologi arrivati da tutte le parti del mondo. E se il primo congresso della neonata EASL era stato ispirato dalla storica individuazione del virus dell’epatite B, scoperto appena tre anni prima, l’edizione 2015 è decisamente dominata dal virus dell’epatite C (che non era nemmeno stato scoperto alla nascita dell’EASL)  e dei preziosi nuovi farmaci, appena arrivati nella pratica clinica o di prossima introduzione. Si cominciano a vedere studi focalizzati su specifiche popolazioni di pazienti, che esplorano cioè l’impiego di questi nuovi farmaci nelle varie declinazioni cliniche, aggiungendo bit di conoscenza che ne consentono un uso più mirato. Ma non mancano ovviamente controversie e critiche per l’elevato costo di questi farmaci ‘boutique’.

Un’altra star dell’edizione 2015 è la NASH (non-alcoholic fatty liver disease). Molto interessanti i risultati del LEAN (liraglutide efficacy and action in NASH),  trial di fase III effettuato con liraglutide, un analogo del GLP-1, utilizzato nel diabete di tipo 2. Lo studio, randomizzato e controllato, ha dimostrato che liraglutide ha centrato l’endpoint primario di clearance istologica della steato-epatite non alcolica e ha ridotto la progressione della fibrosi. Ciò suggerisce che questo farmaco, approvato per il diabete di tipo 2 (e negli USA anche per il trattamento dell’obesità), potrebbe rappresentare una valida opzione terapeutica anche per la NASH.

Lo studio è stato condotto su pazienti in sovrappeso con NASH diagnosticata mediante biopsia epatica e randomizzati 1:1 a ricevere un trattamento di 48 settimane con liraglutide 1,8 mg sottocute o placebo. L’endpoint primario era la risoluzione istologica della NASH (valutata con una seconda biopsia). 9 su 23  (39%) dei soggetti trattati con liraglutide hanno presentato la risoluzione della NASH, senza peggioramento della fibrosi, contro il 9 % (2 pazienti su 22) del gruppo di controllo. Solo 2 pazienti (9%) dei trattati con liraglutide ha presentato un peggioramento della fibrosi, contro il 36% (8 pazienti) del gruppo di controllo.

Liraglutide inoltre ha prodotto, come previsto, un calo ponderale, una riduzione del BMI e della glicemia a digiuno.
“Sebbene la NASH – commenta Matthew Armstrong, coautore del LEAN, NIHR Birmingham Liver Biomedical Research Unit, University of Birmingham – sia la causa più comune di epatopatia cronica, non esiste ancora un farmaco espressamente approvato per trattarla. Anche per questo, i risultati del LEAN rappresentano una rivoluzione e suggeriscono liraglutide come possibile opzione terapeutica per questa condizione.
Servirà ora uno studio di fase 3 per confermare le potenzialità degli analoghi del GLP-1, emerse nel LEAN, prima di poter proporre liraglutide come opzione terapeutica per la NASH”.

“La NASH - spiega Philip Newsome, primo autore del LEAN, NIHR Birmingham Liver Biomedical Research Unit, Università di Birmingham – si verifica quando si produce un’infiammazione del fegato, causata dall’accumulo di grasso. Col tempo, l’infiammazione può condurre alla formazione di tessuto cicatriziale fibrotico nel fegato e intorno ai suoi vasi sanguigni, una condizione che può condurre addirittura alla cirrosi. In Europa, la prevalenza della NASH è del 5% circa; per questo riteniamo che i risultati di questo studio siano molto interessanti perché significa che siamo oggi più vicini ad un nuovo trattamento per i milioni di persone affette da questa condizione”.
Lo studio è stato finanziato da Wellcome Trust e dal National Institute for Health Research(NIHR) Birmingham Liver Biomedical Research Unit.

Maria Rita Montebelli

26 aprile 2015
© Riproduzione riservata

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