Il pericolo nel piatto
di Fabrizio Gianfrate
Dalle cronache nere degli ultimi tempi si potrebbe estrarre un articolato menù di nefandezze, dall’aperitivo al cromo esavalente all’ammazzacaffè al tetracloruro di etile. Ma le sanzioni previste dal codice per quegli untori sono nei fatti poco o affatto deterrenti
08 APR - Se, come ammoniva Feuerbach già a metà ’800, “sei quello che mangi”, a leggere le recenti cronache c’è da avere delle serie crisi d’identità. Crescenti frodi e sofisticazioni alimentari (vedi i recenti rapporti di NAS e GdF) con entrata nel ciclo alimentare di sostanze tossiche, anche quelle smaltite illegalmente con relativa latitanza nei controlli, o l’eccessivo uso di antibiotici nelle produzioni animali a moltiplicare le resistenze batteriche (di questi giorni il terrificante
rapporto UK e quello persino peggiore della
nostra Simit). Dalle cronache nere degli ultimi tempi, insomma, si potrebbe estrarre un articolato menù di nefandezze, dall’aperitivo al cromo esavalente all’ammazzacaffè al tetracloruro di etile.
Segue il conto, assai salato, per gli incalcolabili costi in salute e sanità che si manifesteranno nei prossimi anni e decenni anche dopo tempo o a migliaia di chilometri di distanza, data la distribuzione ubiquitaria di certe produzioni. Pagheremo il profitto di pochi avidi untori del nostro desco moltiplicato per chissà quanto. Riprendendo il barbuto filosofo tedesco, se anche loro sono quello che mangiano, il contenuto del loro piatto deve essere orrido.
In economia sono chiamate “esternalità” le azioni di un singolo a proprio vantaggio ma che generano effetti dannosi a molti altri. Se lo sfruttamento è estremo si va alla cosiddetta “tragedia dei beni comuni”, già teorizzata da Hardin nel 1968, in cui il profitto illegale o para-legale di pochissimi è pagato in misura drammaticamente moltiplicata e irreversibile (tragedia, appunto) non solo dai suoi concorrenti onesti, tagliati ingiustamente fuori dal mercato, ma dall’intera collettività. È una derivata estrema del “dilemma del prigioniero”, esempio emblematico nella Teoria dei Giochi (nonostante il nome è cosa assai seria) per dimostrare come la massimizzazione dell’interesse personale, alla fine, nel lungo periodo, abbatta il sistema collettivo e quindi l’interesse di tutti.
Le sanzioni previste dal codice per quegli untori sono nei fatti poco o affatto deterrenti. Il problema è poi anche nella difficoltà a individuare il nesso di causalità con i danni sanitari generati nel medio e lungo termine o per destinazione geografica.
Più efficaci, però per chi “inquina” nei limiti di legge, i tentativi di correzione del danno marginale collettivo, con le imposte specifiche preventive (“pigouviane”) pari al danno potenzialmente prodotto. O Il “teorema di Coase”, che non dà importanza a chi inquina o è inquinato, ma al limite massimo di inquinanti totale. È alla base del protocollo di Kyoto con la compravendita tra Paesi delle “quote” di diritto a inquinare.
E l’Italia? Un grande futuro dietro le spalle. Giardino d’Europa, scriveva Goethe. Prima che troppi veleni lo avvelenassero. Un patrimonio di tutti dilapidato per lucri privati.
Pare che quando al terzo giorno Dio creò la Terra, l’arcangelo Gabriele, vedendo l’Italia, stupito e preoccupato, gli avesse chiesto: “ma Signore, hai creato un altro Paradiso!”. “Non ti preoccupare, Gabriele”, rispose il Padreterno, “ora ci metto gli italiani”.
Fabrizio Gianfrate
08 aprile 2015
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Scienza e Farmaci