Se si perde la memoria. Conferenza internazionale a Roma della Pontificia Accademia delle Scienze
Il numero dei soggetti con demenza aumenta di 5 milioni ogni anno. La perdita di memoria non riguarda solo i rappresentanti di quella fascia d'età che va dai 65 anni sino ai 75, oggi definita "età transizionale". Questi problemi si riscontrano anche in disordini psichiatrici che affliggono giovani e adulti. Un terzo delle spese sanitarie assorbite da patologie del cervello.
27 GEN - La perdita della memoria come singoli pezzi di un puzzle porta alla perdita della visione della propria identità ed è il drammatico denominatore comune delle malattie degenerative del SNC. Ma problemi di memoria si riscontrano anche in disordini psichiatrici che affliggono giovani e adulti: depressione, disturbo bipolare, schizofrenia hanno tra i loro segni e sintomi aspetti legati alla capacità di creare, mantenere e recuperare ricordi. Su questo tema la Pontificia Accademia delle Scienze ha organizzato la Conferenza Internazionale dal Titolo:
“Memory in the Disease Brain” in corso oggi a Città del Vaticano presso la Casina Pio IV con il coordinamento scientifico di
Roberto Bernabei, Direttore del Dipartimento di Geriatria e Neuroscienze del Policlinico Gemelli di Roma.
La conferenza ha come focus le differenze tra memoria normale e patologica e come questa funzione cognitiva venga alterata e compromessa in presenza dei più comuni disturbi psichici e degenerativi. Basti pensare che nella malattia di Alzheimer, nel Parkinson ma anche in depressione, disturbo bipolare e schizofrenia, la perdita della capacità di ricordare è uno dei primissimi segni.
L’evento è stato realizzato grazie al contributo non condizionato di Lundbeck Italia, azienda farmaceutica completamente dedicata alla ricerca e sviluppo di terapie per il trattamento delle patologie del sistema nervoso centrale.
“Se i nostri ricordi svanissero alla fine di ogni giorno, che senso avrebbe la nostra intera esistenza? - è il quesito sottolineato da
Stefano Zuccaro, Vatican Health Officier -. Il numero dei soggetti con demenza aumenta di 5 milioni ogni anno e la longevità ha come ‘effetto collaterale’ proprio il declino cognitivo. L’esistenza di queste persone ha l’aspetto di un puzzle incompleto. Come vivono queste persone? Di che assistenza hanno bisogno? E come la scienza moderna può rallentare la progressione del declino cognitivo?”.
"La scelta di dedicare una giornata di approfondimento a questi temi nasce dalla crescente diffusione di patologie che alterano le capacità cognitive: malattie come l’Alzheimer, destinato nei prossimi decenni a coinvolgere porzioni sempre più ampie della popolazione mondiale, colpiscono l’individuo ma rappresentano anche e soprattutto un ‘fatto sociale’ - è il commento di
Mons. Marcelo Sanchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze -. E’ quindi importante dare risposta ai bisogni del malato nella globalità di tutte le sue dimensioni e questo implica la necessità di un intervento che non trascuri l’aspetto della patologia correlato al risvolto psicologico, sociale, relazionale. Obiettivo della scienza medica deve essere la 'salute integrale' della persona, unità inscindibile di corpo e spirito, il rispetto del suo vissuto, della sua dignità. Una dignità che è propria di ogni fase dell’esistenza umana, in condizioni di salute piena o fortemente compromessa”.
La relazione tra i processi affettivi e cognitivi è presente sia in condizioni normali che patologiche. I ricordi, ad esempio, si fissano più saldamente nella memoria quando scaturiscono da un’emozione forte. In condizioni di sofferenza questo legame è ancora più forte come se il cervello sofferente perdesse parte delle sue capacità. Nella depressione ad esempio si perde la capacità di provare interesse, di provare piacere, la speranza, prendere delle decisioni diventa faticosissimo se non impossibile e anche la memoria a breve e lungo termine pagano le spese di questa forma di ‘stand-by’ dell’umore. Argomento che sarà trattato da
Philippe Robert, Ricercatore al Memory Center dell’Università di Nizza.
Problemi che possono interessare giovani e adulti e non solo quegli anziani che a partire dai 65 anni sino ai 75 hanno acquisito una nuova etichetta: guai a definirli rappresentanti della terza età, quel decennio oggi è definito “età transizionale”. Si tratta del lasso di tempo acquisito in più negli ultimi trent’anni: dieci anni di vita tutto sommato sana in cui non si è ancora anziani - così come sottolineato anche da
Laura Fratiglioni Direttore dell’Aging Research Center al Karolinska Insitutet di Stoccolma che aggiunge come un terzo delle spese complessive destinate alla sanità sono assorbite proprio dalle patologie del cervello e dell’umore.
Anche l’insorgenza delle malattie degenerative si è spostata un po’ di là da venire, ma la longevità ha un prezzo e presenta il conto. Ci si ammala un po’ più tardi ma più a lungo. Tra le patologie più comuni il Morbo di Parkinson che esordisce spesso in modo improvviso e drammatico con deficit cognitivi che comprendono attenzione, concentrazione e, appunto memoria, legati al deficit colinergico. Migliorare le capacità cognitive dei soggetti con Parkinson al più presto e rallentare la progressione della malattia è il tema della relazione di
Clive Ballard Docente di Psichiatria della Terza Età al King’s College di Londra.
27 gennaio 2015
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