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Ebola. E' allarme negli Usa, dopo il secondo caso confermato a Dallas

di Maria Rita Montebelli

Si tratterebbe di un’altra infermiera, impegnata come Nina Pham, nell’assistereThomas Eric Duncan, il paziente deceduto lo scorso 8 ottobre. Polemiche sui protocolli di sicurezza da parte del sindacato degli infermieri. E intanto la direzione dell’ospedale non esclude la possibilità di nuovi casi

15 OTT - Confermato un secondo caso di Ebola presso il Texas Health Presbyterian Hospital. Anche in questo caso si tratta di un operatore sanitario, come l’infermiera ventiseienne Nina Pham, impegnato nell’assistenza di Thomas Eric Duncan, il paziente deceduto lo scorso 8 ottobre, dopo aver contratto l’infezione il 30 settembre in Liberia. A questo punto la dirigenza dell’ospedale ritiene una ‘possibilità molto reale’ quella di ulteriori casi nei prossimi giorni.
Era stato lo stesso direttore dei Centers for Diseases Control (CDC), Thomas Frieden a suggerire qualche giorno fa che la Pham non sarebbe stata l’unica persona a contrarre l’infezione da Ebola per aver assistito Duncan.
A darne notizia con una breaking news è la ABC News americana.
Il secondo operatore sanitario contagiato dal virus Ebola, la cui identità non è stata ancora rivelata (si sa solo che è un’altra donna), avrebbe presentato un rialzo della temperatura nella giornata di martedì e sarebbe subito stato isolata in ospedale. I risultati positivi del test per l’Ebola sarebbero arrivati questa notte.

Le autorità sanitarie hanno disposto la decontaminazione della sua abitazione e dell’automobile questa mattina e stanno sottoponendo a controlli i familiari e i contatti della paziente.
Al momento sarebbero 76 gli operatori sanitari tenuti ‘sotto stretta osservazione’ a Dallas, al fine di contenere la diffusione del virus. “Si tratta di persone venute in contatto con il paziente – spiega Sylvia Burwell, Segretario degli Health and Human Services – perché non siamo ancora riusciti a capire dove e quando si è verificata una breccia nel protocollo”. Altre 48 persone venute in contatto con Duncan, sono sotto stretto controllo almeno fino a domenica, giorno che segna la fine del periodo finestra all’interno del quale possono comparire i sintomi dell’infezione.
Col senno di poi, un ufficiale sanitario ha dichiarato alla CNN che, visto quanto successo, forse sarebbe stato meglio trasferire immediatamente Duncan presso un’altra struttura, come l’Emory University Hospital ad Atlanta o il Nebraska Medical Center in Omaha. Si tratta di due degli unici quattro ospedali americani dotati di unità di biocontenimento.

Un sindacato degli infermieri (National Nurses United) intanto ha rivolto pesanti accuse all’ospedale di Dallas  affermando che “le linee guida cambiano in continuazione” e che di fatto “non c’era alcun protocollo stabilito su come comportarsi di fronte ad un’infezione mortale”. “Siamo seriamente preoccupati – afferma RoseAnn DeMoro, direttore esecutivo del NNU – perché questi protocolli, per quanto è dato sapere, non sono in atto né in questo ospedale, né da nessun’altra parte negli Stati Uniti”.

Maria Rita Montebelli

15 ottobre 2014
© Riproduzione riservata

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