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Ipertensione arteriosa: una malattia autoimmune?

di Maria Rita Montebelli

La produzione di proteine anomale, gli isoketali, indotta da stress ossidativo e infiammazione, scatenerebbe una reazione autoimmune capace di determinare l’innalzamento dei livelli pressori; la rimozione di queste proteine riduce la pressione nei ratti ipertesi. Un’apertura di orizzonte verso nuove strategie terapeutiche antipertensive.

19 SET - Uno studio pubblicato su Journal of Clinical Investigation suggerisce chealcune sostanze che provocano ipertensione, agirebbero inducendo la produzione di proteine modificate, cosiddette ‘isoketali’ all’interno delle cellule dendritiche, che vengono quindi presentate all’organismo come antigeni. Questo scatenerebbe una reazione autoimmune, alla base appunto di alcune forme di ipertensione arteriosa. Gli autori dello studio hanno dimostrato che la somministrazione di agenti in grado di rimuovere gli isoketali, riduce la pressione arteriosa in un modello sperimentale di ratti ipertesi. I ricercatori hanno anche evidenziato che i pazienti con ipertensione resistente presentano elevate concentrazioni plasmatiche di marcatori degli isoketali. Lo studio suggerisce dunque l’idea che l’ipertensione possa essere annoverata tra le malattie autoimmuni e apre la strada a nuove strategie terapeutiche.
 
Danno ossidativo e infiammazione sono stati da tempo chiamati in causa nella patogenesi dell’ipertensione, ma i meccanismi attraverso i quali questi stimoli arrivano a determinare il rialzo dei valori pressori non è noto.
Annet Kirabo del Vanderbilt University Medical Center (Nashville, USA) e colleghi di una rete di università internazionali pensano di aver svelato, almeno in parte, l’arcano.
Utilizzando diversi modelli murini di ipertensione, i ricercatori hanno scoperto che alla base dell’aumento dei valori pressori potrebbero esserci delle proteine ossidate da gamma-chetoaldeidi altamente reattive (isoketali), che si accumulano nelle cellule dendritiche, determinando la produzione di varie citochine (IL-6, IL-1beta,IL-23). Le cellule dendritiche attivate inducono inoltre la proliferazione di un clone di linfociti T (CD8+), la produzione di interferone gamma, di IL-17A e il rialzo dei valori pressori.
 
Nello stesso studio, gli autori hanno dimostrato che la somministrazione di sostanze scavenger degli isoketali, riesce a prevenire tutti questi eventi associati all’ipertensione. Per di più – riferiscono gli autori – nei pazienti con ipertensione resistente sono presenti elevatissimi livelli plasmatici di F2-isoprostani, marcatori degli isoketali. Concentrazioni elevate di queste proteine modificate sono state riscontrate anche all’interno dei monociti circolanti e delle cellule dendritiche di pazienti con ipertensione arteriosa.
“Il nostro studio – concludono gli autori – suggerisce che la riduzione degli isoketali potrebbe rappresentare una nuova strategia per il trattamento dell’ipertensione”.
 
Maria Rita Montebelli

19 settembre 2014
© Riproduzione riservata

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