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Speciale ESC.Infarto: verso l’era dell’angioplastica ‘allargata’

di Maria Rita Montebelli

I risultati dello studio inglese CvLPRIT dimostrano che il trattamento dei pazienti infartuati, mediante angioplastica primaria, deve essere esteso a tutte le coronarie parzialmente ostruite e non solo all’arteria responsabile dell’infarto. Lo studio potrebbe portare a modificare le attuali linee guida di trattamento

01 SET - Nel trattare un paziente infartuato, è bene essere ‘generosi’ e andare a riaprire non solo l’arteria ‘colpevole’ dell’infarto, ma anche tutte le altre che mostrano ostruzioni di grado significativo.
E’ il ‘consiglio’ che scaturisce dallo studio CvLPRIT (Complete versus Lesion only PRimary-PCI Trial), i cui risultati sono stati presentati a Barcellona in occasione del congresso dell’ESC. Lo studio secondo gli esperti avrebbe le potenzialità di modificare la pratica clinica attuale.
 
“Fino ad oggi – riflette l’autore dello studio Anthony Gershlick, University Hospitals of Leicester NHS Trust (UK) – avevamo solo dati conflittuali riguardo al trattamento ottimale dei pazienti infartuati nei quali, durante l’esecuzione di un’angioplastica primaria, vengano scoperte anche altre lesioni coronariche a carico di arterie non direttamente implicate nell’infarto (N-IRA). Le attuali linee guida delle società scientifiche di cardiologia (ESC, AHA/ACC) raccomandano il trattamento della sola arteria infartuata (IRA), ma i risultati del nostro studio dimostrano un beneficio maggiore nell’allargare il trattamento, adottando così una strategia di rivascolarizzazione completa. Questo dovrebbe suggerire fortemente di trattare tutte le lesioni, prima di dimettere il paziente”.
 
Lo studio CvLPRIT ha arruolato 296 pazienti infartuati, ricoverati presso sette centri inglesi, dotati di emodinamica. Prima della procedura, i pazienti sono stati randomizzati al trattamento della sola IRA o a quello allargato anche a tutte le N-IRA, con ostruzioni significative (nella stessa seduta o comunque prima della dimissione).
A distanza di un anno, i pazienti del gruppo ‘rivascolarizzazione completa’ presentavano outcome migliori di quelli sottoposti a trattamento della sola IRA; i MACE (mortalità per tutte le cause, recidive infartuali, scompenso cardiaco e rivascolarizzazione da eventi ischemici) registrati a distanza di un anno sono stati il 10% nei pazienti del gruppo rivascolarizzazione ‘completa’, contro il 21,1% di quelli sottoposti al trattamento della sola IRA; queste differenze di risultati tra i due gruppi cominciavano ad emergere già a distanza di un mese dalla procedura.
 
I tempi dell’intervento erano ovviamente maggiori nel gruppo rivascolarizzazione completa (in media 190 minuti, contro i 41 minuti necessari per una semplice angioplastica primaria dell’IRA), ma nonostante ciò non sono state registrate complicanze in eccesso sul fronte ictus, sanguinamenti maggiori e nefropatia indotta da mezzo di contrasto.
 
I risultati del CvLPRIT sono in linea con quelli del PRAMI (Preventive Angioplasty in Myocardial Infarction), uno studio presentato lo scorso anno, che aveva suggerito una superiorità della rivascolarizzazione completa rispetto alla sola IRA ma che era stato criticato per il disegno. Adesso anche i risultati del PRAMI andranno rivalutati, alla luce di quelli del CvLPRIT.
 
Maria Rita Montebelli

01 settembre 2014
© Riproduzione riservata

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