Speciale farmaco biologico. Convegno in Toscana. Ecco gli scenari
I biologici hanno modificato drasticamente la cura dei pazienti, ma le necessità di contenimento dei costi hanno indirizzato le scelte regionali verso l’adozione di farmaci a prezzo più sostenibili. Nel corso del quarto incontro promosso da Fondazione Charta a Firenze, istituzioni e clinici si sono confrontati sul tema.
15 LUG - Linee guida e norme dettagliate per indicare la rotta da seguire nelle procedure di acquisto di farmaci biologici e biosimilari. La Toscana è sicuramente una tra le regioni più attive su questo fronte dimostrando di avere attenzione alla sostenibilità del sistema, ma senza trascurare le opportune garanzie di continuità terapeutica per i propri cittadini.
Sulla scia delle raccomandazioni Aifa è stato indicato per i pazienti drug naive l’utilizzo del farmaco più conveniente o quello che si è aggiudicato la gara. E nelle procedure pubbliche di acquisto dei biosimilari, ha stabilito che dovranno essere indicate esclusivamente la composizione, la via di somministrazione, le indicazioni terapeutiche e gli eventuali dosaggi. Inoltre con una direttiva regionale ha precisato che nelle strutture sanitarie non è in nessun caso ammessa la sostituzione con medicinali uguali prodotti da un’azienda farmaceutica diversa da quella che si è aggiudicata la gara, salvo esplicita indicazione del medico prescrittore. Una scelta che il medico dovrà motivare con una relazione indirizzata alla propria direzione sanitaria. E ancora, ha stabilito che i direttori generali delle Aziende sanitarie devono attivare tutte le procedure per il rispetto delle indicazioni dettate e per l’eventuale recupero dei costi derivanti dalla loro mancata applicazione, da parte dei medici prescrittori.
Insomma, la Toscana ha attivato regole stringenti pur rimanendo disponibile al confronto con i clinici. Anche se il dibattito - nel corso del quarto incontro “Il valore del farmaco biologico tra continuità terapeutica e sostenibilità economica” organizzato dalla Fondazione Charta a Firenze con il patrocinio della regione Toscana - è stato molto acceso.
“Nell’affrontare le politiche sanitarie – ha detto
Marco Remaschi, presidente della IV commissione Sanità e politiche sociali della regione Toscana – dobbiamo parlare di appropriatezza, un termine abusato ma sul quale dobbiamo sempre di più ragionare. Altro aspetto di cui dobbiamo tenere conto è però la tenuta del sistema quindi della sostenibilità economica. In Toscana abbiamo dovuto fare scelte anche dolorose, ma abbiamo i conti in ordine. Questo vuol dire che il controllo della spesa e la riduzione della spesa ci ha impegnati. Sui farmaci dobbiamo fare una riflessione molto più ampia. Personalmente ritengo che ci debba essere un rapporto tra costo del farmaco ed efficacia della risposta, tra costo del farmaco e utilità, tra costo del farmaco e beneficio in termini di risultati. Le misure prese dalla regione toscana rispondono a determinate linee guida. Non vogliamo sottrarci a un percorso di innovazione in favore del cittadino – ha aggiunto – perciò ritengo che debba esserci un confronto continuo con i clinici per affrontare con attenzione le problematiche che potrebbero insorgere”.
Più tranchant la posizione di
Loredano Giorni, responsabile delle politiche del farmaco, innovazione e appropriatezza della regione Toscana. Per Giorni non ci sono dubbi: l’innovazione che arriva dal biosimilare va premiata, e se questa porta anche risparmio ancora di più. Anche perché se Ema e Aifa hanno dato il loro via libera al trattamento con farmaci biosimilari per i pazienti naive e hanno offerto rassicurazioni sulla possibilità di mettere in atto le estrapolazioni, non ci sono ragioni per sollevare dubbi sul loro utilizzo.
“Sono convinto che bisogna limitare i profitti e investire su ricerca e sviluppo – ha detto Giorni – non si può continuare a pagare a prezzo pieno un farmaco scaduto di brevetto e per il quale il costo dell’innovazione è stato ampiamente recuperato nel corso degli anni dalle aziende. E se i clinici sollevano dubbi sull’utilizzo dei biosimilari dico allora andiamo insieme da Aifa e Ema e diciamo che hanno sbagliato”.
Rimane il fatto che i medici, pur riconoscendo il potenziale dei farmaci biosimilari e la possibilità di ottenere risparmi per reinvestirli in nuove opportunità per i pazienti, continuano a sollecitare cautela nel loro utilizzo. Almeno fino a quando non si avranno dati che dimostrino, per alcune aree come quella gastroenterologica, dermatologica e per alcune patologie reumatologiche, che il farmaco biosimilare possieda un profilo sovrapponibile a quello del prodotto di riferimento quanto a efficacia, sicurezza e qualità.
“Abbiamo un utilizzo dei biologici che è la metà di quello europeo e ci sono aree del paese, dove sono sottoutilizzati – ha affermato
Vito Annese, Direttore della Gastroenterologia ospedaliera del “Careggi” di Firenze –pensare quindi in futuro di avere una maggiore diffusione di questi farmaci, magari a costi più bassi grazie anche all’intervenuto del biosimilare potrebbe essere una grande opportunità per i pazienti. Tuttavia, la problematica principale da affrontare ora è che le prove per l’autorizzazione dei farmaci biosimilari sono solo in vitro e servono essenzialmente per garantire l’identicità della struttura di questi composti. Non abbiamo quindi alcuna evidenza diretta circa la loro efficacia. Inoltre sarebbe un errore pensare di estrapolare tout court i dati degli studi sull’artrite reumatoide e applicarli alle patologie gastrointestinali. Basti pensare – ha aggiunto – che nell’area gastrointestinale sono stati svolti in Corea, studi solo su 25 pazienti. non ci deve quindi meravigliare che l’Health Canada non abbia autorizzato l’estensione del biosimilare alla colite ulcerosa, proprio perché i dati non sono sufficienti”.
Quindi, ha aggiunto Annese, considerando che i biosimilari di seconda generazione faranno il loro ingresso sul mercato tra marzo e aprile del prossimo anno, sarebbe auspicabile uno studio controllato che preveda una tracciabilità per il biosimilare impiegato per i pazienti naive. “Il rischio più grande – ha concluso Annese – è che il medico possa essere messo sotto pressione da un budget che non deve sforare. Ma se il medico e il paziente non si sentono garantiti per motivi diversi, non devono essere obbligati a cambiare un farmaco per una mera questione economica”.
Sulla stessa linea
Alberto Giannetti, dermatologo presso la Clinica dermatologica, Policlinico Università degli studi di Modena e Reggio Emilia che ha lanciato una proposta alle regioni: realizzare un progetto comune di raccolta dati sull’efficacia e la tollerabilità dei farmaci biosimilari secondo parametri uniformi su tutto il territorio nazionale. Una proposta che ha incassato la promessa di Giorni di farsi promotore dell’iniziativa con Aifa e le altre Regioni.
“Ci sono alcune riflessioni da fare in generale ed anche nell’area dermatologica – ha sottolineato Giannetti – la prima è che le estrapolazione delle indicazioni dall’originator al biosimilare dovrebbero essere sottoposte ad una verifica seppur rapida prima di ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio. Questo perché c’è una variabilità nella produzione dei farmaci di tipo biologico e chimico, come è dimostrato nella storia dei biologici, che può comportare una serie di modificazioni sotto il profilo dell’efficacia terapeutica e degli effetti collaterali, tossici, immunologici e allergologici. Effetti che devono essere opportunamente verificati. E per quanto riguarda la psoriasi questo è un punto dirimente. Consideriamo poi che per il trattamento della psoriasi abbiamo tre farmaci Anti Tnf alfa che, come dimostrano i risultati dei trials clinici internazionali, non sono sovrapponibili, in quanto sono diversi tra loro. Questo comporta che il medico deve decidere di volta in volta a seconda del tipo di pazienti. Partendo da questo presupposto – ha aggiunto – si comprende come, ancora di più, per il trattamento con i biosimilari avremo bisogno di trial clinici rapidi per avere maggiori dati di sicurezza. Sarebbe opportuno che le regioni, in linea con quanto attuato dall’Aifa con il progetto PsoCare, realizzassero un progetto comune per raccogliere dati secondo parametri uniformi su tutto il territorio nazionale”.
15 luglio 2014
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