Farmaci innovativi. Celgene: "Investimenti del 34% in ricerca. Garantire qualità vita ai pazienti"
di Edoardo Stucchi
E inoltre, raddoppio degli introiti da 7 miliardi di dollari a 14 per il 2017 e nuove assunzioni. Questi alcuni dei dati illustrati durante la presentazione della nuova sede della casa farmaceutica svizzera a Milano. Scaccabarozzi: "Se Celgene mette a disposizione 100 posti di lavoro, con le 200 aziende che rappresento non sarà difficile arrivare anche a 3.000 posti".
26 MAG - Innovazione, passione, ma i pazienti prima di tutto. Il motto è stato perfettamente rispettato anche nella cerimonia di presentazione della nuova sede di Celgene, la casa farmaceutica svizzera che ha preso casa nel nuovo business district di porta Nuova a Milano. Seduta tra i relatori, la paziente
Sylvie Menard, ricercatrice dell’Istituto dei tumori di Milano, vittima lei stessa di un tumore, ha raccontato la sua storia emozionando la platea per la sua carica di soddisfazione per avercela fatta non soltanto contro il tumore, ma anche contro tutto quello che il tumore comporta nella vita sociale. Una presentazione che ha spiazzato le parole entusiasmanti del presidente di Celgene,
Pasquale Frega, che ha sciorinato cifre da capogiro come investimenti del 34%, raddoppio degli introiti da 7 miliardi di dollari a 14 per il 2017 e nuove assunzioni e dei relatori successivi che non hanno potuto fare a meno di usare le parole della paziente per spiegare i successi di Celgene, mettendo da parte relazioni e appunti preparati prima.
E’ cominciata così la storia di Sylvie Menard, 45 anni di ricerca oncologica a studiare le proteine che innescano la malattia tumorale e il modo per curare il carcinoma della mammella, quando improvvisamente si è trovata al di là della barriera per essere stata colpita da mieloma multiplo. “Di colpo mi sono sentita cadere addosso tutti gli anni della mia carriera come uno tsunami – ha detto – sì, perché è così che la gente descrive l’impatto con la diagnosi di tumore. Anch’io ho sopportato il colpo dello tsunami. Io che curavo i topolini e li guarivo, ma sapevo che nell’uomo non è la stessa cosa. Guarigione non significa nulla. Di colpo perdi quel senso di immortalità e cominci a pensare agli anni di sopravvivenza che ti restano. Di colpo mi sono resa conto di come i trattati di medicina sui quali avevo studiato, fra i quali quello del collega Bonadonna, erano sbagliati. Non puoi più guardare il futuro lontano, ma cominci a pensare alla vita con un limite temporale”.
"Oggi, grazie alle medicine viviamo di più, ma se sopravviviamo di più, in che nodo viviamo? Se la qualità di vita è pessima, meglio morire prima. Ma che cosa s’intende per qualità di vita? Significa avere farmaci meno tossici, non vomitare, non perdere i capelli. Ecco, con i farmaci innovativi il gioco sembra fatto. Nove anni fa la mia vita è cambiata. Dirigevo un laboratorio di biologia sperimentale, la mia famiglia era perfetta, poi, la diagnosi di tumore che ha distrutto tutto quello che avevo fatto. Pensavo di non avere più futuro ed è quello che pensano il 95% dei malati che ricevono questa diagnosi. Ti sembra di entrare in un tunnel senza uscita.
La parola tumore evoca la morte e hai paura di tutto, di far soffrire la tua famiglia, di fermare anche la vita dei tuoi familiari. Da questo tunnel si può uscire. Ma ci vuole aiuto - ha raccontato Menard -. Chi te lo dà? Prima di tutto i familiari, poi il sistema sanitario che ti aiuta a riprendere la vita. Ci sono infatti reparti per la terapia di supporto che ti danno medicine che il medico di famiglia non osa prescrivere perché non vuole aggiungere farmaci ad altri farmaci in un paziente oncologico. Manca invece la terapia di conforto che dovrebbe essere fatta dal sistema sanitario. Infermieri, personale amministrativo, anche l’uomo delle pulizie della stanza dovrebbero avere un atteggiamento di conforto, perché il malato capisce i messaggi subliminari che le persone trasmettono. Se queste persone sono cupe, sono tristi e come se dicessero: questa è malata di cancro. In sostanza, prima di ammalarmi mi credevo immortale, oggi non è così. Non rimando più nulla delle cose da fare. Perché non so se avrò tempo di farle dopo".
E’ arrivato quindi il momento delle relazioni ufficiali dove il termine innovazione è parso vecchio di cent’anni. Come ha sottolineato
Gianni De Crescenzo ricordando la scoperta della penicillina, il primo antibiotico che ti salva la vita. Anche questa è innovazione, per quell’epoca. Ma Celgene ha in serbo molte sorprese e non soltanto nella onco ematologia, campo in cui primeggiano (aspetto sottolineato anche da Fabrizio Pane, presidente della Società italiana di ematologia), ma anche nei campi dell’infiammazione e dell’immunologia con terapie innovative per psoriasi, artrite reumatoide, morbo di Crohn, lupus eritematoso. Anche il presidente di Farmindustria,
Massimo Scaccabarozzi, ha messo da parte la sua relazione per parlare dello sviluppo e della crescita dell’industria farmaceutica, per la quale Celgene è in prima linea. “Se Celgene mette a disposizione 100 posti di lavoro – ha aggiunto – significa che dei 1500 che ho promesso al Governo in cambio di stabilizzazione nel mondo del lavoro, me ne mancano 1400. Ma con le 200 aziende che rappresento non sarà difficile arrivare anche a 3.000 posti di lavoro se le promesse fatte dal primo ministro a Bari saranno realtà”.
La crescita interesserà in modo trasversale tutte le funzioni, dalla medico-scientifica al marketing, ha annunciato il presidente e amministratore delegato di Celgene Italia, Pasquale Frega, davanti al Console generale degli Stati Uniti,
Kyle Scott e e agli altri ospiti. "Celgene è in controtendenza perché ha continuato negli anni a investire cifre estremamente significative in Ricerca e Sviluppo. Nel 2013 abbiamo destinato il 34% del fatturato - ha concluso Frega -. Questo ha consentito, consente e consentirà in futuro di avere farmaci sempre più innovativi che rispondano a bisogni non soddisfatti in questo momento da altre terapie”.
Edoardo Stucchi
26 maggio 2014
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