Proteine. Un nuovo metodo per studiare il loro cambiamento
Ad oggi non si era in grado di seguire direttamente l’attività delle proteine “trasportatrici” e studiare la loro regolazione in vivo. Ma tutto ciò cambierà grazie ad uno studio italo-americano: due team del Cnr e di Stanford hanno infatti sviluppato un nuovo strumento che permette l'analisi dell'attività proteica in vivo, attraverso l'uso di proteine fluorescenti.
22 OTT - Molte proteine sono sottoposte a cambiamenti conformazionali durante la loro attività. Da oggi, grazie a uno studio italo-americano dell’Istituto di genetica Vegetale del Cnr (Igv-Cnr) e del Department of Plant Biology, Carnegie Institution for Sciences, di Stanford (USA) c'è una nuova strategia per l'analisi dell'attività proteica in vivo, attraverso l'uso di proteine fluorescenti che rendono evidenti proprio queste modifiche. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista open access ‘eLife’.
In questo studio si è infatti sviluppato un nuovo strumento biotecnologico per lo studio, in cellule intatte, dell’attività di un trasportatore (in questo caso, diversi membri della famiglia degli trasportatori dell’ammonio): le proteine ‘trasportatrici’ giocano un ruolo critico nell’assorbimento e rilascio di ioni e metaboliti nella cellula, e per la loro distribuzione subcellulare. Data la loro natura idrofobica, la caratterizzazione dei trasportatori è difficoltosa, e le misure delle attività di trasporto tipicamente dipendono dall’uso di molecole radioattive ed espressione in altre specie. Anche le tecniche elettrofisiologiche sono limitate all’analisi di processi a livello della membrana plasmatica, o di cellule sulla superficie di tessuti sezionati. Inoltre, esse non premettono di distinguere tra isoforme di trasportatori o di studiare compartimenti subcellulari. Ad oggi non si era in grado di seguire direttamente l’attività dei trasportatori e studiare la loro regolazione in vivo.
L’ipotesi di partenza era che fosse possibile usare una proteina fluorescente sensibile all’intorno ambientale (quale la green fluorescent protein circolarmente permutata, cpGFP) fusa a un trasportatore di interesse (qui, come modello, diversi membri della famiglia dei trasportatori dell’ammonio AMT) per creare una chimera che legasse l’attività del trasportatore all’emissione in fluorescenza. Si sono creati così una serie di sensori di attività che rappresentano una svolta nelle tecniche di studio dei trasportatori e delle proteine.
Si prevede che tale tecnologia innovativa sia esportabile ad altri trasmettitori (compresi quindi i neurotrasmettitori) e, per estensione, agli enzimi in generale, in quanto sia il ciclo di un trasportatore che quello di un enzima, sia esso solubile o di membrana, prevede quasi invariabilmente dei cambiamenti conformazionali che possono essere visualizzati attraverso la fusione con un fluoroforo sensibile. L’emissione in fluorescenza diventa così un misura conveniente e non invasiva dell’attività di una proteina.
Le ricadute potenziali sono molteplici: dal punto di vista di ricerca di base, la ‘visualizzazione’ diretta di un’attività proteica rappresenta un’assoluta novità e potrebbe rendere accessibile lo studio di tutti quei trasportatori ed enzimi per cui non esistono ad oggi valide alternative elettrofisiologiche, o via uso di substrati radioattivi. Dal punto di vista farmacologico, l’analisi dell’attività proteica attraverso la fluorescenza, da contrapporre a laboriosi saggi enzimatici, radioattivi o elettrofisiologiche, faciliterebbe enormemente lo screening di librerie di molecole per l’identificazione di inibitori e regolatori di attività. Dal punto di vista di biotecnologie ambientali, infine, tali sensori potrebbero essere impiegati in chip per il monitoraggio di metaboliti inquinanti (lo stesso ammonio, che viene misurato dai sensori che ho creato nel mio progetto, si comporta da nutriente a basse concentrazioni e da tossina se presente in eccesso).
22 ottobre 2013
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