Ipertensione. Per sei pazienti su dieci non c'è "aderenza" alle terapie. Intervista al prof. Mennini
Soltanto il 41% dei pazienti aderisce alla terapia. Se si raggiungesse almeno il 70% si potrebbero risparmiare circa 100 milioni di euro in dieci anni per ricoveri ospedalieri. Ce lo ha spiegato il professor Francesco Saverio Mennini (Ceis-Tor Vergata) che ha coordinato la ricerca.
17 GIU - In Italia soltanto il 41% dei pazienti che soffre di ipertensione è aderente alla terapia. Questo comporta un ingente spreco di risorse economiche per il nostro Sistema Sanitario. Soltanto facendo passare l’aderenza dai dati attuali al 70%, si risparmierebbero nell’arco di dieci anni circa 100 milioni di euro. Questo emerge da uno studio coordinato dal Prof. Francesco Saverio Mennini e condotto dal gruppo di ricerca Ceis - EEHTA della Facoltà di Economia di Tor Vergata, presentato durante la 23° edizione del Congresso dell’
European Society of Hypertension svoltosi a Milano dal 14 al 17 giugno.
Professor Mennini, qual è stato l’obiettivo di questo studio?
Lo studio si è posto come obiettivo quello di verificare il costo dovuto alla bassa aderenza della terapia di pazienti che soffrono di ipertensione. Lo studio ha visto coinvolti cinque Paesi europei (Italia, Francia, Spagna, Germania e UK) ed è stato coordinato dal gruppo di ricerca che dirigo, Ceis EEHTA della Facoltà di Economia di Tor Vergata. Abbiamo valutato per ogni singolo Paese quanto e se si potevano ridurre i costi diretti sanitari conseguenti al basso livello di aderenza alla terapia grazie ad un incremento del livello di aderenza alla terapia considerato ottimale secondo le Linee Guida Internazionali (ovvero un livello di aderenza pari al 70%), mantenendo invariata la spesa per farmaci.
Con che metodo è stato condotto?
Abbiamo effettuato calcoli per ogni singolo Paese partendo dai dati epidemiologici: è stato utilizzato un albero decisionale che ci ha permesso di stimare i costi diretti associati alle malattie cardiovascolari. E’ stato confrontato, nello specifico per l’Italia, l’impatto conseguente all’incremento di aderenza della terapia (70%) con il valore attualmente registrato in Italia (41%), così da stimare la differenza degli eventi ed i costi relativi.
Com’è la situazione in Italia?
La situazione che abbiamo verificato dai dati di letteratura è che soltanto il 41% dei pazienti in realtà è aderente alla terapia. Il restante 59% non è aderente.
Com’è, invece la situazione all’estero?
Anche negli altri Paesi analizzati nello studio è stato registrato un valore di aderenza più basso del 70%. In particolare, Francia, Spagna e UK hanno verificato un valore di poco superiore a quello registrato in Italia. In Germania la situazione è migliore avendo registrato un dato del 64%.
Perché è stato importante effettuare questa analisi?
Questo tipo di analisi sono importanti in quanto ci permettono di evidenziare quanto sia fondamentale l’aderenza alle terapie tanto dal punto di vista economico che di miglioramento dell’efficacia. Infatti, la mancata aderenza alla terapia determina uno spreco di risorse (al paziente viene fornito il farmaco in ogni caso) accompagnato da un risultato basso di efficacia che genera delle ulteriori spese (in questo caso i costi legati alle altre patologie cardivascolari). I pazienti non aderenti, poiché non sono controllati adeguatamente o per motivi anche solo personali, prendono meno dosi del farmaco di quelle che sarebbero necessarie a far sì che la cura sia efficace: così non si curano e vanno in contro a tutte quelle patologie cardio vascolari che sono conseguenti a chi soffre di ipertensione. Con il presente studio siamo stati in grado di quantificare quali sono i costi generati dalla mancata aderenza a terapie che si sono dimostrate essere molto efficaci nel ridurre patologie cardiovascolari.
A quali risultati siete giunti?
Alla fine dei nostri conti, se si facesse passare l’aderenza alla terapia dal 41% attuale al 70%, si risparmierebbero nell’arco di dieci anni circa 100 milioni di euro. Fermo restando tutte le altre voci di spesa: E’ importante sottolineare che l’incremento di circa il 30% del livello di aderenza non comporta alcun incremento della spesa farmaceutica. Soltanto incrementando l’aderenza alla terapia al 70%, ci sarebbe un risparmio di 100 milioni di euro di spesa ospedaliera.
Perché questo problema della bassa aderenza alla terapia è così pronunciato nel caso dell’ipertensione?
Non è solo un problema dell’ipertensione, particolarmente accentuato, ma della maggior parte delle patologie. In Italia abbiamo uno scarso controllo dell’aderenza alla terapia. Ad esempio anche nel caso della sclerosi multipla: una volta che i pazienti si sentono un po’ meglio, tendono ad abbandonare la terapia farmacologica per un certo periodo di tempo. Salvo poi, quando la devono riprendere, la loro situazione è peggiorata e quindi hanno bisogno di cure aggiuntive. Tutto questo si traduce in costi diretti maggiori del Sistema Sanitario.
Come si potrebbe risolvere questa situazione?
Bisognerebbe strutturare dei sistemi di monitoraggio da utilizzare sia da parte dei medici di medicina generale, sia dagli specialisti, in modo tale da riuscire a controllare il paziente. O viceversa, stimolare il sistema industriale (alcune aziende già lo fanno) a fornire dei dispositivi al paziente che permettano di controllare l’aderenza della terapia.
Perché nel caso dell’ipertensione questo sarebbe di particolare importanza?
Perché l’ipertensione è collegata a tutte le patologie cardiovascolari che rappresentano, dal punto di vista della spesa farmaceutica e della cura assistenziale le voci di maggiore spesa per il Sistema Sanitario Nazionale. Inoltre, le patologie cardiovascolari e similari rappresentano la più alta percentuale di numero di pensioni di inabilità e di invalidità per l’assistenza sanitaria erogate dall’Inps. Dunque garantire l’aderenza, significherebbe anche ridurre l’impatto sui costi indiretti.
Perché secondo lei c’è questa bassa aderenza?
Ci sono due tipologie di motivi che possono far ridurre l’aderenza alla terapia: il primo la paura di forti effetti collaterali. Ma questo non è il caso dei farmaci per l’ipertensione che sono ben tollerati. In secondo luogo, quando il paziente si sente bene, causa l’efficacia del farmaco, ha la tendenza a sospendere o ridurre la terapia rischiando di aggravare la sua condizione. Occorre educare il paziente facendogli capire che si trova davanti a terapie efficaci, solo se prese in modo continuativo e corretto.
In che modo la politica sanitaria può arginare questo problema?
O parlando con il paziente o far sì che ci siano degli strumenti (dispositivi) che permettano il monitoraggio della terapia, come accade già per altre patologie.
17 giugno 2013
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