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Celiachia. Congia: “Con la genotipizzazione HLA possibile identificare i bambini ad alto rischio di diabete tipo1”   

di Elisabetta Caredda 

E’ il risultato di uno studio condotto da un team sardo su 1886 pazienti celiaci e pubblicato su Clinical and Translation Gastroenterology. Congia: “Nei bambini affetti da celiachia sarà possibile ritardare, o addirittura prevenire, l’insorgenza del diabete. Lo studio potrà aiutare anche le Regioni alle prese con i controlli del programma di screening approvato dal governo per individuare la celiachia e il diabete tipo 1 nella popolazione in età pediatrica”.

20 MAG - Con la genotipizzazione HLA, ossia l’analisi dei geni coinvolti nelle risposte immuni dell’organismo, è possibile identificare nei bambini con celiachia quelli ad alto rischio per lo sviluppo futuro del diabete tipo 1. Lo rivela lo studio di ricerca realizzato dal team sardo guidato dal pediatra dell’ospedale Microcitemico di Cagliari, Mauro Congia, che nei giorni scorsi è stato pubblicato sulla rivista Clinical and Translation Gastroenterology.

“Nei bambini affetti da celiachia – spiega il pediatra a Quotidiano Sanità - sarà possibile ritardare, o addirittura prevenire, l’insorgenza del diabete. Sono queste le conclusioni alle quali siamo giunti portando avanti uno studio di ricerca che abbiamo condotto con la collaborazione, oltre che dei reparti dell’ospedale Microcitemico dove opero, anche delle Università di Cagliari e Sassari e la Asl 8, eseguito su un gruppo di 1886 pazienti sardi, di cui 822 con celiachia, 1067 con diabete di tipo 1, mentre 627 sono stati i controlli sani utilizzati”.

“Lo studio – prosegue Congia- che abbiamo intitolato ‘La genotipizzazione HLA nei bambini affetti da celiachia consente di stabilire il rischio di sviluppare il diabete di tipo 1’, nei giorni scorsi ci è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista statunitense Clinical and Translation Gastroenterology. Ed in proposito tengo a ringraziare tutto il gruppo di lavoro di medici e biologi che ci ha permesso di raggiungere questo promettente risultato, che sono Enrico Schirru, Rossano Rossino, Daniela Diana, Rita D. Jores, Davide Baldera, Sandro Muntoni, Claudia Spiga, Carlo Ripoli, Maria R. Ricciardi, Francesco Cucca”.

“I risultati di ricerca che abbiamo avuto modo di rilevare sono promettenti perché gettano solide basi soprattutto per l’approccio terapeutico in quanto dimostrano, per la prima volta, come sia possibile identificare il rischio futuro d’insorgenza del diabete tipo 1 grazie alla genotipizzazione HLA, cioè l’analisi dei geni coinvolti nelle risposte immuni dell’organismo. Infatti, se è noto che i bambini con celiachia possono diventare anche diabetici, grazie alla strategia delineata nel nostro studio ora sarà possibile identificare quelli più predisposti al diabete tipo 1. Questo si rivela di estrema importanza”.

“La ricerca ha infatti scoperto che solitamente i piccoli pazienti sviluppano prima la celiachia (l’insorgenza in genere è intorno agli otto anni d’età) e solo qualche anno dopo il diabete (mediamente intorno agli undici anni). Quindi, si può approfittare della differenza temporale per intervenire sull’insorgenza del diabete. E questo diventa possibile grazie a delle terapie che utilizzano anticorpi monoclonali. Negli USA, già dal 2022 è in uso il Teplizumab, un farmaco che lavora in tal senso ora al vaglio anche dell’Agenzia europea per i medicinali”.

“Ma c’è di più: dato che lo scorso anno, con la legge 130/2023, il governo ha previsto un programma di screening per individuare la celiachia e il diabete tipo 1 nella popolazione in età pediatrica, da applicare sin dal terzo anno d’età, i risultati dello studio si rivelano preziosi per aiutare le Regioni alle prese con i controlli. In questo senso c’è da capire come, una volta diagnosticati i pazienti celiaci, le regioni intendono seguirli per lo sviluppo futuro del diabete tipo 1”.

Va poi anche chiarito come le stesse regioni vorranno organizzarsi quando il Teplizumab sarà disponibile anche da noi. Il nostro studio delinea una strategia razionale e fattibile”.

“La ricerca ha potuto contare sul supporto della Fondazione di Sardegna ed è dedicata alla memoria della biologa Caterina Chessa” – conclude Congia.

Elisabetta Caredda

20 maggio 2024
© Riproduzione riservata

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