Perdita dell’udito associata a cambiamenti nella microstruttura di alcune aree cerebrali
Uno studio USA ha rilevato un’associazione tra le perdita dell’udito e cambiamenti che si verificano a livello della microstruttura delle aree uditive del lobo temporale e delle aree della corteccia frontale coinvolte nell’elaborazione della parola e del linguaggio. Lo studio è stato pubblicato dal Journal of Alzheimer’s Disease.
22 NOV - La perdita dell’udito è associata a sottili cambiamenti che si verificano in diverse aree del cervello e che possono aumentare il rischio di demenza. È quanto emerge da uno studio pubblicato dal Journal of Alzheimer’s Disease e condotto da ricercatori dell’Università della California di San Diego e del Kaiser Permanente Washington Health Research Institute.
Il team di ricerca ha coinvolto 130 partecipanti, che sono stati sottoposti a test della soglia uditiva in visite cliniche di ricerca tra il 2003 e il 2005, e a scansioni di risonanza magnetica tra il 2014 e il 2016, circa dieci anni dopo.
Gli esami hanno evidenziato, in presenza di casi di ipoacusia, cambiamenti a livello della microstruttura delle aree uditive del lobo temporale e delle aree della corteccia frontale coinvolte nell’elaborazione della parola e del linguaggio, nonché delle aree coinvolte nella funzione esecutiva. La causa di questi cambiamenti – ipotizzano gli autori – sarebbe da ricondurre alla deprivazione sensoriale e al conseguente maggiore affaticamento del cervello per comprendere i suoni.
“Questi risultati suggeriscono che la compromissione dell’udito può portare a cambiamenti nelle aree cerebrali legate all’elaborazione dei suoni, così come nelle aree del cervello che sono legate all’attenzione – osserva
Linda K. McEvoy, ricercatrice principale dello studio – Lo sforzo extra prodotto nel tentativo di comprendere i suoni può dare vita a cambiamenti nel cervello che portano ad un aumento del rischio di demenza”.
“I risultati dello studio sottolineano l’importanza di proteggere l’udito evitando l’esposizione prolungata a suoni forti, indossando protezioni quando necessario e riducendo l’uso di farmaci ototossici”, conclude la coautrice Emilie Reas.
Fonte: Journal of Alzheimer’s Disease 2023
22 novembre 2023
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