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Infertilità. Curarla è possibile con le staminali dello sperma


Uno studio dell'Università di Pittsburgh avrebbe dimostrato che tramite la crioconservazione delle staminali spermatogoniali e il loro successivo trapianto, è possibile ottenere dello sperma capace di fertilizzare ovociti. Una rivoluzione per i pazienti sottoposti a terapie che ne compromettono la fertilità.

02 NOV - “Si tratta del primo studio in assoluto che dimostra che trapiantare cellule staminali spermatogoniali può produrre sperma perfettamente funzionale nei primati. Un enorme passo in avanti verso la cura della sterilità maschile, anche per gli esseri umani”. Queste le parole con cui Kyle Orwig dell’Università di Pittsburgh ha presentato l’ultimo studio del suo team, pubblicato su Cell Stem Cell. Un lavoro pre-clinico – precisa il ricercatore – che però potrebbe rappresentare una pietra miliare nella strada verso un trattamento per l’infertilità, soprattutto per quei pazienti che hanno avuto un cancro in giovane età e che dopo la chemioterapia hanno perso la possibilità di procreare.
 
Il problema non è nuovo: i pazienti affetti da neoplasie – a maggior ragione se sviluppate prima della maturità sessuale – spesso perdono la fertilità a causa dei trattamenti chemio o radioterapici, poiché questi danneggiano non solo le cellule malate, ma anche quelle sane in corso di divisione, come possono essere le staminali spermatogoniali. Se a sviluppare un cancro è un uomo adulto c’è la possibilità di crioconservare lo sperma sano prima della terapia, in modo che questo possa poi essere utilizzato a cura avvenuta; ma se il paziente si trova in fase prepuberale, come purtroppo a volte accade, lo sperma prodotto non è ancora maturo, dunque questa possibilità svanisce, insieme alla possibilità di procreare, in futuro.
 
Una strategia promettente per questo tipo di pazienti sembrerebbe però essere la crioconservazione proprio delle staminali spermatogoniali, ovvero quelle che danno vita proprio allo sperma. Fino ad oggi, questa possibilità era stata testata su modello animale solo nel caso di radioterapia. Lo studio dell’Università di Pittsburgh ha voluto invece testare il metodo su primati non umani che venissero sottoposti a chemioterapia, fonte altrettanto comune di infertilità per i pazienti oncologici. Scoprendo che il meccanismo funziona perfettamente: crioconservando le cellule staminali prelevate prima del trattamento con un comune farmaco usato sugli esseri umani, e poi reiniettandole dopo la cura, gli scienziati si sono accorti che nella maggior parte dei casi le cellule erano effettivamente capaci di produrre sperma. E il liquido ottenuto era stato capace di fertilizzare ovociti e produrre embrioni perfettamente sani. Ciò inoltre avveniva anche nel caso le cellule staminali spermatogoniali venissero trapiantate su primati infertili, a prescindere dal trattamento chemioterapico.
 
I risultati sono ancor più positivi a maggior ragione perché alcuni centri di fertilità nel mondo stanno già cominciando a crioconservare questo tipo di campioni biologici. Ma gli scienziati tendono ad essere comunque cauti sulle possibilità di implementazione di questo tipo di metodo. “Ci sono numerose domande che ancora aspettano risposta”, ha specificato Orwig. “Le cellule vanno reintrodotte appena dopo la fine del trattamento, o bisogna aspettare che il paziente sia dichiarato del tutto sano, o ancora solo se e quando avrà voglia di mettere su famiglia? E ancora, come facciamo a eliminare il rischio di ricomparsa del cancro, anche a causa della possibilità che nelle staminali prelevate ci siano cellule tumorali? Con questo studio abbiamo solo dimostrato che tecnicamente la crioconservazione delle cellule staminali spermatogoniali è possibile, ma ancora troppe domande non hanno risposta chiara. Bisogna continuare a fare ricerca, per eliminare ogni dubbio e pericolo”.

02 novembre 2012
© Riproduzione riservata

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