Vivere in un quartiere disagiato può influenzare le scelte alimentari, con conseguenze negative anche a livello di microstruttura del cervello. È quanto evidenziato da un team di ricercatori dell’Università della California di Los Angeles, autori di uno studio apparso su Communications Medicine, che rileva come la scarsa qualità degli alimenti e l’aumento dell’assunzione di calorie da cibi ricchi di grassi transgenici, nonché il vivere in ambienti che non favoriscono l’attività fisica, alterino l’elaborazione delle informazioni nella regione del cervello coinvolta nella ricompensa e nella regolazione di emozioni e cognizione. Per lo studio i ricercatori dell’Università della California hanno effettuato un’analisi dettagliata della corteccia cerebrale attraverso la risonanza magnetica.
La ricerca ha incluso 92 partecipanti, dai quali sono state raccolte informazioni demografiche e sull’indice di massa corporea. Valutazioni peggiori di disagio erano associate a cambiamenti di comunicazione tra regioni del cervello importanti per l’interazione sociale. Altre alterazioni, poi, sono state registrate nella zona cerebrale coinvolta nella ricompensa, nella regolazione delle emozioni e nei processi cognitivi; cambiamenti che sembravano essere influenzati dall’assunzione di acidi grassi transgenici.
Dunque, vivere in quartieri disagiati e avere una dieta povera e di scarsa qualità “sospendono la flessibilità dell’elaborazione delle informazioni coinvolte nella ricompensa, nella regolazione delle emozioni e della cognizione”, sintetizza Arpana Gupta, autore senior della ricerca. “Abbiamo scoperto che vivere in quartiere disagiato è associato a differenze nella struttura della corteccia del cervello. Alcune differenze sono collegate a un indice di massa corporea più elevato e correlate a un elevato apporto di acidi grassi transgenici dei prodotti fritti”, prosegue l’esperto, sottolineando che “è importante affrontare il problema della qualità degli alimenti nei quartieri disagiati anche per proteggere la salute del cervello”.
Fonte: Communications Medicine 2023