Le terapie cellulari con CAR T e gli immunomodulanti cambiano le prospettive di cura di alcuni dei tumori del sangue più frequenti, come il mieloma multiplo e i linfomi. Nel mieloma multiplo, una nuova CAR T, ide-cel, ha evidenziato un tasso di risposta completa, cioè la scomparsa laboratoristica di tutti i segni di malattia, nel 45,9% dei pazienti che hanno sviluppato recidiva precoce (entro i 18 mesi dalla diagnosi) dopo il trapianto autologo di cellule staminali in prima linea e nel 74,2% dei pazienti che hanno risposto in modo insufficiente al trapianto.
Nel linfoma a grandi cellule B, liso-cel, nuova terapia cellulare, ha dimostrato una risposta completa del 74% in seconda linea nella malattia recidivata o refrattaria. Il nuovo immunomodulante orale iberdomide ha permesso di raggiungere risposte globali del 36,8% in pazienti con mieloma multiplo pesantemente pretrattati e sta aprendo prospettive importanti anche nel linfoma non-Hodgkin, con un miglior controllo della malattia. Nelle sindromi mielodisplastiche, luspatercept, farmaco con un nuovo meccanismo d’azione efficace contro l’anemia, ha evidenziato un miglioramento della sopravvivenza globale nei pazienti rispondenti. I progressi nella cura dei tumori del sangue sono stati al centro del Congresso della Società Americana di Ematologia (American Society of Hematology, ASH), che si è svolto recentemente, e sono approfonditi oggi in una conferenza stampa virtuale promossa da Bristol Myers Squibb.
Ogni anno, in Italia, 5.800 persone sono colpite da mieloma multiplo, tumore del sangue che ha origine nel midollo osseo. Più del 90% dei pazienti colpiti da mieloma multiplo va incontro a recidiva. Nell’ultimo ventennio, però, grazie alla ricerca, la sopravvivenza mediana è passata da circa 36 mesi a 7 anni. “La frontiera più avanzata e innovativa dell’immunoterapia è rappresentata dalla terapia con cellule CAR T, basata sui linfociti del paziente modificati geneticamente – afferma Michele Cavo, Direttore dell’Istituto di Ematologia ‘L. A. Seràgnoli’, IRCCS S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi di Bologna e Professore Ordinario di Ematologia presso la stessa Università -. Ide-cel è una terapia cellulare di seconda generazione diretta contro l’antigene BCMA (B Cell Maturation Antigen), espresso sulla superficie delle plasmacellule. Grazie a questo approccio, sono stati evidenziati risultati significativi nello studio multicentrico di fase II KarMMa-2 in pazienti con mieloma multiplo e precoce progressione della malattia, vale a dire entro 18 mesi dal trattamento iniziale comprensivo del trapianto autologo di cellule staminali. La terapia cellulare ha dimostrato risposte complete e durature in una percentuale significativa di pazienti, oltre a una buona tollerabilità”.
Lo scenario dell’immunoterapia in grado di reindirizzare i T linfociti del paziente verso le cellule tumorali si sta ulteriormente arricchendo grazie allo sviluppo degli anticorpi bispecifici, tra i quali alnuctamab che, nella formulazione sottocutanea, ha evidenziato una buona tollerabilità e un tasso di risposta globale del 53%. Infine, l’innovazione terapeutica negli ultimi 20 anni ha visto l’introduzione di farmaci con azione diretta verso le plasmacellule ed il “microambiente midollare”, primi tra tutti gli immunomodulanti.
“In particolare, mezigdomide e iberdomide sono due potenti modulatori di Cereblon che superano i classici meccanismi di resistenza ai farmaci e consentono di offrire ulteriori concrete speranze di cronicizzazione della malattia – continua Cavo -. Gli studi hanno dimostrato l’efficacia di mezigdomide, in combinazione con desametasone, in pazienti con mieloma multiplo recidivato o refrattario già sottoposti a tre o più linee di terapia, incluse immunoterapie cellulari adottive e non anti-BCMA. Il tasso di risposta globale è stato del 40% e ha raggiunto il 50% nei pazienti che hanno ricevuto terapie target anti-BCMA. Anche iberbomide ha dimostrato, in combinazione con desametasone, risultati significativi in pazienti pesantemente pretrattati, con una risposta globale del 36,8%”.
Anche nei linfomi, che ogni anno colpiscono oltre 16mila persone in Italia, le terapie cellulari e gli immunomodulanti stanno cambiando le prospettive di cura. “Nonostante i recenti progressi terapeutici, sono necessarie nuove opzioni che offrano benefici a lungo termine per i pazienti con linfoma a grandi cellule B - spiega Pier Luigi Zinzani, Professore Ordinario dell’Istituto di Ematologia ‘L. A. Seràgnoli’, IRCCS S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi di Bologna -. La malattia non mostra sintomi all’esordio in circa il 40% dei pazienti e i segni più frequenti sono forti sudorazioni notturne, febbre, prurito diffuso e perdita di peso involontaria negli ultimi 4-5 mesi. Nello studio TRANSFORM la terapia cellulare con liso-cel, a un follow up di 17,5 mesi, ha evidenziato miglioramenti clinicamente rilevanti con un vantaggio nella sopravvivenza libera da eventi, nelle risposte complete e nella sopravvivenza libera da progressione rispetto allo standard di cura, cioè alla immunochemioterapia seguita dal trapianto autologo di cellule staminali, nel trattamento di seconda linea di pazienti alla prima recidiva o con ricaduta precoce entro 12 mesi dalla diagnosi. In particolare, la sopravvivenza libera da eventi ha raggiunto il 53% nei pazienti trattati con liso-cel rispetto al 21% con lo standard di cura e la risposta completa è stata, rispettivamente, del 74% e del 43%. Va inoltre sottolineato che, nello studio, la risposta negli over 65 è sovrapponibile a quella dei più giovani, a cui si aggiunge una buona tollerabilità”.
“Gli immunomodulanti di nuova generazione stanno dimostrando un ruolo significativo anche nel linfoma non-Hodgkin – continua il Prof. Zinzani -. Un esempio è rappresentato da iberdomide che, in monoterapia o in combinazione con un anticorpo monoclonale anti-CD20, ha mostrato la sua efficacia in pazienti recidivati o refrattari. I risultati preliminari di uno studio di fase1/2, che ha arruolato pazienti con diversi tipi di linfoma non-Hodgkin recidivati o refrattari sottoposti ad almeno due linee precedenti di terapia, mostrano risposte complete del 32%. In particolare, nel linfoma diffuso a grandi cellule B, la risposta completa è stata del 29% e nei linfomi indolenti ha raggiunto circa il 40%. Si aprono quindi importanti prospettive grazie alla nuova generazione di immunomodulanti”.
Passi avanti anche nel trattamento delle sindromi mielodisplastiche. Si stimano circa 3.000 nuovi casi ogni anno in Italia, ma è un numero sottostimato perché manca una registrazione completa dei parametri epidemiologici e sono ancora tanti i pazienti che non ricevono un corretto e tempestivo inquadramento diagnostico. La manifestazione clinica più frequente è costituita dall’anemia, che spesso richiede di trasfusioni di sangue.
“Le sindromi mielodisplastiche sono un gruppo eterogeneo di tumori del sangue, in cui le cellule del midollo osseo non riescono a diventare cellule perfettamente funzionanti e sane, ma presentano alterazioni della maturazione. Nelle forme più gravi, possono evolvere in leucemia mieloide acuta, un tipo di tumore ancora più aggressivo – afferma Valeria Santini, Professore di Ematologia all’Università di Firenze e Responsabile MDS Unit dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze -. Lo studio registrativo MEDALIST ha già dimostrato che il trattamento con luspatercept libera dalla necessità di trasfusioni per almeno 8 settimane quasi la metà dei pazienti trasfusione-dipendenti, con sindromi mielodisplastiche, a rischio molto basso, basso e intermedio, che presentano sideroblasti ad anello, e che hanno fallito o non sono candidabili alla terapia con agenti eritrostimolanti (ESA). Un risultato molto importante per persone costrette a recarsi nei centri trasfusionali frequentemente, anche ogni settimana”.
“I vantaggi – continua Santini - si riflettono sulla qualità di vita e sulla possibilità di ridurre l’accumulo di ferro introdotto con le trasfusioni, grazie alla ripresa della eritropoiesi. Questi risultati sono stati confermati anche su 184 pazienti ‘real life’, non selezionati e inclusi nel programma compassionevole avviato nel nostro Paese e presentato per la prima volta all’ASH. Nelle prime 48 settimane, il 38,6% dei pazienti ha raggiunto l’indipendenza trasfusionale per almeno 8 settimane e, durante l’intero periodo di trattamento, buona parte dei pazienti che rispondevano al trattamento ha avuto molti periodi di trasfusione indipendenza ripetuti nel tempo. Sono importanti anche i vantaggi in termini di sopravvivenza globale offerti da luspatercept, come evidenziato dai risultati aggiornati dello studio MEDALIST da me presentati al Congresso ASH. I pazienti rispondenti a luspatercept hanno una probabilità aumentata di lunga sopravvivenza. Va considerato che i pazienti trattati con luspatercept hanno una probabilità 5 volte superiore di risposta, definita come trasfusione indipendenza per almeno 8 settimane, rispetto al placebo. Inoltre, anche i pazienti che ottengono con luspatercept una risposta eritroide o un incremento di emoglobina superiore ad 1 g/dl nelle prime 24 settimane di trattamento hanno una maggior probabilità di sopravvivenza rispetto al braccio placebo”.
“Con quasi 30 anni di esperienza in onco-ematologia, siamo leader in quest’area – conclude Cosimo Paga, Executive Country Medical Director, Bristol Myers Squibb Italia -. Abbiamo ridefinito gli orizzonti del trattamento del mieloma multiplo, grazie agli immunomodulanti e alle terapie cellulari (CAR-T). Queste ultime rappresentano l’evoluzione dell’immunoncologia. Infatti, i linfociti del paziente vengono prelevati e sottoposti a un processo di ingegnerizzazione, poi reinfusi nel paziente stesso per istruirne il sistema immunitario a riconoscere e a distruggere le cellule tumorali. Gli sforzi di tutta l’azienda, a livello mondiale, sono concentrati nell’accelerare i tempi di produzione, con l’obiettivo di trattare sempre più pazienti grazie a terapie geniche di seconda generazione. Puntiamo alla terapia personalizzata e siamo impegnati nello sviluppare approcci innovativi sia per terapie che agiscano su target specifici, sia per terapie che agiscano attraverso il sistema immunitario. In quest’ultimo ambito stiamo sviluppando molecole per aumentare il riconoscimento delle cellule tumorali, aumentarne l’efficienza nel sopprimerle e infine prevenire l’immunosoppressione che avviene durante l’evoluzione della malattia tumorale. Oltre che nel mieloma multiplo, nei linfomi e nelle mielodisplasie, siamo impegnati nella ricerca per migliorare le terapie disponibili anche nella mielofibrosi, nella leucemia mieloide acuta e nelle talassemie, con importanti risultati confermati e presentati al recente congresso mondiale”.