“L'Oncologia di precisione si basa sull'identificazione di possibili bersagli terapeutici a cui andrà associato un farmaco in grado di interagire specificamente con quel bersaglio, producendo un vantaggio nel paziente”. Sembra tutto molto semplice, sembra oramai perfettamente tutto acquisito ma, chiarisce Paolo Marchetti, Direttore Scientifico IDI Irccs e Ordinario di Oncologia Medica alla Sapienza, in realtà ci troviamo in un contesto di ricerca e clinico estremamente più articolato e complesso”.
Il percorso di confronto e riflessione sull’Oncologia di precisione sulla scia dell’Health Serie dedicata all’argomento e realizzata con il sostegno incondizionato di Lilly, tocca oggi la Regione Lazio in cui l’approccio clinico, scientifico ed organizzativo punta decisamente verso il concetto di Rete.
“Prima di tutto – sottolinea il professore - dobbiamo fare una premessa imprescindibile e cioè che in oncologia di precisione esistono tre diversi modelli: il modello istologico, che si basa sul riconoscimento di alterazioni predittivo di risposta ad un determinato farmaco, sulla disponibilità di quel farmaco, sulla valutazione dei risultati ottenuti in studi clinici prospettici che ci consentano di capire quale sia il valore di quel farmaco, sull'approvazione degli organismi regolatori che sulla base del valore, definisce con l'azienda il prezzo di acquisto di quel farmaco; il modello agnostico, che si basa sul le stesse premesse del modello istologico ma non riguarda più un singolo tipo di tumore ma tutti i tumori che hanno analoga caratteristica; il cosiddetto modello mutazionale, nel quale viene studiata una grande quantità di geni 300, 500, 1000 e probabilmente in futuro ancora di più.
Ma non con il solo scopo di identificare più bersagli, questo sarebbe un errore drammatico nella gestione clinica dei pazienti perché non è identificando un maggior numero di serrature che noi riusciremo poi ad aprire tutte le porte qualora non avessimo tutte le chiavi che servono per quelle serrature”.
La complessità di questo nuovo e affascinante approccio alle terapie oncologiche è dunque evidente tanto quanto le incertezze che ancora restano da svelare prima di spingere parossisticamente il piede sull’acceleratore. Come bene spiega Marchetti “sul modello mutazionale vige grande incertezza sui risultati clinici del suo utilizzo, motivo per il quale sono in corso degli studi in tutto il mondo per cercare di comprendere meglio, da un lato quali sono le possibili strade di interagire con alcuni tumori con specifici bersagli, dall'altro quello di comprendere meglio quali sono i meccanismi che determinano un fattore di resistenza a questi farmaci, qualora correttamente associati con un determinato bersaglio”.
Questo è il motivo per cui, avverte Marchetti, nessuno deve sentirsi escluso dalla possibilità di accedere a questi innovativi modelli di terapia. “Nessuno sta negando ai pazienti opportunità terapeutiche reali. Il modello istologico, basato anche sullo studio delle molecole per le quali abbiamo farmaci già disponibili è presente in tutta la Regione Lazio ma ricercare altre alterazioni per poi non avere un farmaco a disposizione significa solamente sprecare delle risorse”.
In ogni caso questi modelli hanno necessità di una struttura diagnostica e assistenziale adeguata alle sfide che questa innovazione richiede. Per questo la Regione Lazio elaborando la nuova strutturazione della Rete Oncologica regionale attraverso il quale garantire a tutti uguale opportunità di accesso e non rischiare di avere una valutazione diversa a seconda della porta di ingresso nel Servizio sanitario regionale. Il modello di Rete Oncologica scelto è quello del Comprehensive Cancer Network (non del Comprehensive Cancer Center) e cioè, spiega ancora Marchetti “un collegamento funzionale tra strutture fisicamente lontane o separate, dove non saranno certo i pazienti a girare da una struttura all’altra ma i tessuti e le informazioni”.
Un nuovo approccio anche organizzativo
Ma come sarà possibile coniugare la sostenibilità del sistema con la necessità di cambiare paradigma in uno degli ambiti di cura importanti del nostro sistema salute? Oltre alla prevenzione primaria e secondaria su cui Giuseppe Quintavalle, Direttore Generale dell’Azienda ospedaliera Universitaria di Tor Vergata ha pochissimi dubbi La strada maestra sembra proprio quella indicata anche da Marchetti: “Direi che forse oggi abbiamo definitivamente superato il Clinical Trial Center – sottolinea Quintavalle – con una nuova visione e un nuovo approccio diagnostico e terapeutico che partendo dalla Next Generation Sequencing, passi per team multidisciplinari collegati tra loro. E quando parliamo di team parliamo di reti – aggiunge – nelle quali dobbiamo avere il coraggio e l’onestà intellettuale di associare pubblico e privato accreditato che, nella Regione Lazio, esprime competenze di altissimo livello”.
L’ultimo miglio della Regione Lazio
“In questo momento - sottolinea dal canto suo Massimo Annichiarico, Direttore Salute e Integrazione sociosanitaria della Regione Lazio – siamo all’ultimo miglio del percorso di formalizzazione di quello che è il documento regionale di programmazione della Rete Oncologica. Un miglio particolarmente importante perché è quello che riguarda il confronto con le associazioni dei pazienti e in generale con le associazioni di rappresentanza civica per confrontarci sul modello organizzativo che noi abbiamo immaginato”.
Un modello che, spiega Annichiarico “una volta che il cittadino ha un bisogno, lo recepisca e faccia in modo che il medesimo cittadino, da quel momento in poi, non debba più far nulla da solo. È il servizio sanitario regionale che dovrà mettere in campo tutto il mix di azioni necessarie e diversamente combinate secondo quello che è il tipo di risposta necessario di cui il paziente possa giovarsi. E questo target d'azione, quindi questa cosiddetta medicina di precisione, consiste proprio nella capacità del sistema di dare una risposta chiara. Non è un proiettile magico uguale per tutti i cittadini, ma un proiettile che vada a colpire esattamente le caratteristiche genetiche e morfologiche di quel tumore in quel preciso individuo, in quel preciso istante, combinandosi con vari altre scelte che oggi, in questo momento ci consentono di veicolare il farmaco attraverso l'utilizzo anche di sistemi come gli anticorpi monoclonali, come raffinatissime forme di ingegneria genetica che portano il farmaco esattamente nel punto in cui deve attaccare le cellule che devono essere colpite”.
Insomma, una vera e propria rivoluzione copernicana che tuttavia non potrà mai funzionare se, come descritto, non verrà realizzato un nuovo modo di organizzare i servizi diagnostici e terapeutici sull’intero territorio regionale.