Sonno disturbato e Alzheimer. Una relazione pericolosa
Nei topi la formazione di placche di proteine beta-amiloidi che sono ritenute causa dei sintomi ha come prima conseguenza un sonno notturno ridotto. Se questo venisse confermato anche negli esseri umani, dei ritmi di sonno-veglia alterati potrebbero essere usati come indicatore precoce dell’insorgenza della malattia.
09 SET - Problemi nel dormire potrebbero essere uno dei sintomi precoci dell’Alzheimer. A dirlo una ricerca pubblicata su
Science Translational Medicine: lo
studio, condotto dalla Washington University, dimostrerebbe come nei topi le placche di proteine nel cervello, che sono ritenute una componente cruciale della patologia, comportino disturbi nel sonno.
Il rilevamento dei segni precoci dell’Alzheimer è fondamentale per il trattamento della patologia, visto che i problemi di memoria e di disorientamento si fanno evidenti solo negli stadi più avanzati della malattia: a quel punto, molti neuroni sono già stati distrutti e il trattamento diventa molto complicato, se non impossibile. Ecco perché gli scienziati sono sempre alla ricerca di segni tangibili e precoci della malattia.
Un’ampia area di ricerca è chiaramente quella che riguarda le placche di proteine beta-amiloidi, che sono ritenute causa dei sintomi: i livelli di queste molecole nell’organismo si alzano e si abbassano naturalmente nel corso della giornata, ma nel morbo di Alzheimer queste si accumulano dando vita alle formazioni.
Gli scienziati dell’ateneo statunitense hanno osservato che se il sonno notturno normale dei topi dura circa 40 minuti l’ora, appena cominciavano a formarsi placche di proteine beta-amiloidi nel loro cervello, questo tempo si riduceva a mezz’ora. “Se i disturbi del sonno cominciano in stadi così primordiali della malattia, potrebbero diventare un segno tangibile piuttosto semplice da rilevare”, ha commentato
David Holtzmann, uno degli autori dello studio.
Un pensiero condiviso da Alzheimer Research UK, associazione di beneficienza britannica che si occupa proprio della patologia. “Se la ricerca conferma che cambiamenti nel ritmo del sonno possano essere un marker precoce per la malattia, questo potrebbe sicuramente essere una conoscenza utile per i medici, per riconoscere i pazienti a rischio”, ha commentato
Marie Janson, dall’associazione.
“Chiaramente per ora non sappiamo come questi problemi possano presentarsi nell’uomo invece che su modello murino, potrebbero consistere in un sonno ridotto, o magari in difficoltà a stare svegli, o altro ancora”, ha aggiunto Holzmann. E in più ciò che è vero per i roditori potrebbe non esserlo per gli esseri umani.
Ma sia gli scienziati che gli esponenti di Alzheimer Research Uk sono ottimisti. “Ci sono stati già studi precedenti che provavano che cambiamenti negli schemi di sonno-veglia possano essere collegati a un declino cognitivo – ha concluso Janson – il che lascia pensare che sia verosimile che possano essere anche un allarme per l’Alzheimer”.
09 settembre 2012
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