Sulle pubblicità di marchi famosi, soprattutto americani e nord europei, imperversano da qualche tempo modelle ‘curvy’ che strizzano l’occhio al pubblico sempre più vasto delle donne (ma anche uomini) in sovrappeso o francamente obese. È il frutto di astute campagne di marketing che fanno leva sul trend topic di body positivity, reinterpretandolo però in maniera confondente rispetto ai messaggi di prevenzione.
Ma per gli esperti non bisogna abbassare la guardia: “Non ci stancheremo mai di ribadire – afferma il professor Massimo Volpe, Presidente della Società Italiana di Prevenzione Cardiovascolare (SIPREC) – che i chili di troppo, sia quando configurano ‘sovrappeso,’ che ‘obesità’, vanno considerati una malattia vera e propria, oltre che un importante fattore di rischio per tante altre patologie, da quelle cardio-metaboliche, ai tumori, a quelle osteo-articolari. Valorizzare la bodypositivity e condannare il body shaming è sacrosanto se intesi come ‘inclusività’ e guerra alla discriminazione del ‘diverso’, del non allineato ai canoni estetici mainstream. Ma per nessuna ragione dobbiamo far passare il messaggio che l’obesità vada considerata come una condizione ‘normale’, addirittura alternativa alla magrezza eccessiva o al normopeso. In questo campo ‘uno non è uguale a uno’.
Il Global Burden of Disease (GBD) Obesity Collaborations nel 2017 ha stimato che la popolazione mondiale degli adulti obesi ha superato ormai i 600 milioni, con un clamoroso raddoppio di prevalenza in 35 anni (dal 1980 al 2015). Dei 4 milioni di decessi associati ogni anno all’obesità, almeno i due terzi sono dovuti a malattie cardiovascolari. Una relazione pericolosa dunque quella tra obesità e malattie cardiovascolari (soprattutto infarti) che si esprime attraverso l’amplificazione di una serie di fattori di rischio tradizionali (ipertensione, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, diabete di tipo 2), ma anche di condizioni patologiche che danno un importante contributo al determinismo di ictus e infarti, quali sindrome metabolica, apnee ostruttive del sonno (OSAS), disfunzione endoteliale, stato di infiammazione cronica, iperuricemia, intolleranza glucidica e insulino-resistenza. Le persone con quadri più marcati di obesità infine sono a maggior rischio di comparsa di fibrillazione atriale, scompenso cardiaco, angina microvascolare, ipertensione arteriosa resistente e tromboembolismo polmonare.
In Italia, secondo dati dell’Istituto Superiore di Sanità, 1 adulto su 10 è obeso e 3 su 10 in sovrappeso. Le Regioni dove si registra il maggior sovrappeso sono Puglia e Campania; quelle con il maggior numero di obesi sono invece Calabria e Campania. Nel 2019 i bambini italiani in sovrappeso erano il 20,4% e gli obesi il 9,4%. Nella Regione Europea dell’Oms, l’Italia è al primo posto per obesità e sovrappeso nella fascia d’età 5-9 anni. “Il ruolo dell’obesità come fattore di rischio cardiovascolare indipendente – conclude il professor Volpe – non va dunque sottostimato e derubricato a fattore di rischio ‘minore’, perché al contrario il peso è un protagonista assoluto del nostro stato di salute o di malattia. E bene ha fatto dunque la Commissione Europea a riconoscere l’obesità (marzo 2021) come malattia cronica recidivante, che a sua volta agisce come porta di entrata per un range di altre malattie non comunicabili”.