Ogni anno, a livello globale, circa 70 milioni di persone subiscono un trauma cranico, che rappresenta il disturbo neurologico più frequente al mondo. La patologia ha un impatto significativo sulla salute pubblica per gli elevati tassi di mortalità, morbilità e disabilità ad essa correlati. Un gruppo di specialisti della medicina d’urgenza ha di recente redatto il rapporto “Colpi di testa, l’importanza dei test diagnostici nell’individuazione del trauma cranico lieve”, che fa un punto sul percorso diagnostico-terapeutico dei pazienti che presentano questa condizione e mette in luce gli unmet-needs ancora presenti nel Paese. I clinici sottolineano anche l’importanza dell’uso diagnostico di biomarcatori specifici e la necessità di aggiornare le linee guida sul trauma cranico.
Serve una stratificazione del rischio
La diagnosi e la valutazione dell’entità del trauma avviene in Pronto Soccorso. “I sintomi principali del trauma cranico sono: cefalea, nausea, vomito, sensazione di spossatezza, perdita di coscienza. La classificazione in lieve, moderato e grave viene fatta usando il Glasgow Coma Score (GCS), un punteggio che tiene conto dell’apertura degli occhi, della risposta verbale e della risposta motoria”, spiega Mario Guarino, Direttore del Pronto Soccorso della Medicina D’Urgenza del CTO di Napoli e Direttore della Summer School della SIMEU (Società Italiana di Medicina di Emergenza/Urgenza), che ha partecipato alla redazione del rapporto.
Si stima che il 90% delle lesioni cerebrali sia classificato come trauma cranico lieve e che il trauma cranico lieve sia circa 15 volte più frequente di quello moderato ed oltre 20 volte più frequente di quello grave. Anche in caso di trauma cranico lieve (quindi con un GCS di 14 o 15), possono però essere presenti delle lesioni intracraniche severe, soprattutto in presenza di specifici fattori di rischio, “come l’assunzione di anticoagulanti e antiaggreganti (assunti da molti anziani), farmaci che espongono a rischio di emorragie cerebrali”, continua Guarino.
Per questa ragione, si legge nel rapporto, in sede di diagnosi è fondamentale una stratificazione del rischio in base all’integrazione di dati clinici anamnestici, dati relativi al trauma (dinamica) e anamnesi farmacologica.
Trasformazione del percorso diagnostico-terapeutico
“Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito a una trasformazione del percorso diagnostico-terapeutico dei pazienti con trauma cranico, sia dal punto di vista delle possibilità diagnostiche, sia in termini di caratteristiche epidemiologiche dei pazienti”, osserva Andrea Fabbri, Direttore Pronto Soccorso medicina d'urgenza, 118 Forlì e Tesoriere SIMEU, anche lui autore del rapporto.
Potenziali marker diagnostici di trauma cranico cerebrale
Ad oggi, l’identificazione del trauma cranico lieve è un’importante sfida con conseguenze sulla gestione clinica dei pazienti. Nonostante una maggiore attenzione negli ultimi decenni, i progressi nel miglioramento dell’accuratezza diagnostica di queste lesioni restano minimi. Una diagnosi precisa e tempestiva è cruciale per i pazienti con trauma cranico lieve, per ridurre il rischio di danni neurologici prolungati o permanenti. Come sottolinea Bertini, le linee guida sulla gestione del trauma cranico e del trauma cranico lieve, così come le evidenze, sono abbastanza datate.
Nel rapporto vengono elencate le più utilizzate: Canadian CT Head Rule, Scandinavian Guidelines, New Orleans Criteria for TC scan in mild head injury, Linee Guida National Institute for Health and Care Excellence (NICE 2014), Neurotraumatology Committee of the World Federation of Neurosurgical Societies (NCWFS). Tra queste, le più recenti risalgono al 2014.
Nell’ultimo decennio, diversi candidati biomarcatori sono emersi come potenziali marker diagnostici di trauma cranico cerebrale. Sono state studiate più di 20 diverse proteine cerebrali e alcune hanno dimostrato accuratezza diagnostica per distinguere la commozione cerebrale dalla “non commozione cerebrale” o per predire i risultati della TAC al cranio. I biomarcatori hanno fornito informazioni sui meccanismi patofisiologici, in particolare sul decorso dinamico del danno neuronale, assonale e astrogliale che derivano dal trauma.
È ampia la letteratura che riporta un’alta sensibilità e l'utilità dei biomarcatori UCH- L1, GFAP nel predire la lesione intracranica presente alla TAC del cranio in fase acuta.
I biomarcatori, dice Bertini, possono permettere di stratificare il rischio e migliorare l’inquadramento dei soggetti con trauma cranico.
La combinazione di GFAP e UCH-L1 sembra avere il potenziale di migliorare la valutazione e la gestione clinica dei pazienti con trauma cranico lieve. Nei casi in cui è stata utilizzata come marcatore surrogato per indagini diagnostiche strumentali, questa combinazione ha migliorato l'accuratezza diagnostica, riducendo il numero di TAC non necessarie effettuate su pazienti con sospetto trauma cranico lieve.
Queste due proteine, dice Guarino, “vengono studiate per un uso nel percorso diagnostico-terapeutico del trauma cranico, sopratutto lieve, per consentire di evitare di eseguire, e sopratutto di ripetere, le TAC. Tutto questo non può prescindere da un corretto esame clinico che si avvale anche di metodiche di imaging non invasivo”.
E Fabbri conclude: “Il mondo dei marcatori è molto ampio e la ricerca procede rapidamente.
Speriamo di avere presto indicazioni sufficienti per costruire percorsi diagnostici utili anche allo sviluppo di linee guida che vadano in questa direzione”.
C.d.F
Con il contributo non condizionante di Abbott