La variante Omicron del virus SARS-CoV-2 si associa a un minor rischio di Long COVID rispetto alla variante Delta.
A osservarlo è stata una ricerca pubblicata in una letter su The Lancet da un team di ricercatori del King’s College di Londra, guidato da Claire Steves, che ha analizzato i dati provenienti dallo studio ZOE COVID Symptom.
In base alle linee guida del NICE inglese, il Long COVID è definito come l’insorgenza di sintomi nuovi o il perpetuarsi di sintomi del COVID-19 a quattro mesi o più dopo l’inizio della malattia. I sintomi includono stanchezza, respiro corto, perdita di concentrazione e dolore alle articolazioni e possono avere un impatto negativo sulle attività di tutti i giorni determinando, in alcuni casi, gravi limitazioni.
Lo studio ha evidenziato che i tassi dei sintomi di Long COVID sono stati dal 20 al 50% più bassi nel periodo in cui Omicron è stata la variante dominante del coronavirus rispetto a quando circolava maggiormente la variante Delta, in base ad età del paziente e al tempo trascorso dalla vaccinazione.
La ricerca, in particolare, ha identificato 56.003 casi di COVID-19 tra adulti nel Regno Unito che hanno avuto un risultato positivo al test tra fine dicembre 2021 e marzo 2022, con Omicron variante dominante.
Questi casi sono stati confrontati con 41.361 pazienti rilevati tra giugno e novembre dello scorso anno, quando la variante predominante era la Delta. Le analisi hanno mostrato che il 4,4% dei casi di Long COVID sono stati dovuti a variante Omicron, rispetto al 10,8% dei casi attribuibili a Delta. “Una persona su 23 che ha avuto il COVID-19 ha lamentato sintomi per più di quattro settimane”, sottolinea l’autrice Claire Steves. Un dato che, secondo l’esperta, sottolinea come queste persone debbano continuare ad essere seguite “al lavoro, a casa e nell’ambito del sistema sanitario nazionale”.
Fonte: The Lancet 2022
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)