Ebola. È epidemia in Uganda: 14 vittime nelle ultime due settimane
Già colpito 4 volte dal 2000, nello stato africano scoppia un nuovo allarme per la terribile malattia: da due settimane a questa parte sono morte 14 persone e altre 20 sono state contagiate. L’ospedale della capitale Kampala in emergenza, con 20 impiegati in quarantena.
01 AGO - Erano passati diversi anni dall’ultima epidemia di ebola in Uganda: l’ultima era stata quella del 2007-2008, che colpì 149 persone e ne uccise 37. Ma oggi l’incubo sembra essere ritornato: da tre settimane a questa parte sono 14 le vittime nel paese, che sta vivendo una nuova ondata di contagi. La speranza ora è che la devastazione non eguagli quella dell’epidemia più grande tra quelle che hanno colpito il paese, avvenuta nel 2000, per la quale si ammalarono 425 persone, e ne morirono più della metà. Si tratta del quarto episodio epidemico da allora.
L’ebola è una delle malattie più aggressive del mondo, può uccidere fino al 90% delle persone infette. È causata da un virus conosciuto in cinque diversi ceppi, e causa una febbre emorragica, oltre a debolezza, vomito, mal di testa e problemi ai reni. Ad oggi non esistono né vaccino né cura. Si diffonde tramite contatto e per questo l’unico modo i contenere l’epidemia è quello di cercare chiunque abbia incontrato i malati e porre queste persone in quarantena. “Non solo bisogna evitare contatti intimi, ma anche le strette di mano dovrebbero essere bandite”, ha ricordato Yoweri Museveni, il presidente ugandese, prendendo atto della gravità della situazione. La situazione era infatti stata sottovalutata finora: i primi contagi sono avvenuti già all’inizio di luglio nel distretto di Kibaale, a circa 170 km dalla capitale Kampala. Ad oggi, sono 14 i morti e almeno 20 i contagiati, mentre si è diffusa la notizia che nell’ospedale della capitale, quello di riferimento per l’emergenza, sette dottori e 13 operatori sanitari sono in quarantena per precauzione.
In particolare l’attuale epidemia è stata sottovalutata anche perché i pazienti non presentavano uno dei sintomi più famosi della malattia, ovvero il sanguinamento. Tuttavia, precisano i medici, una delle difficoltà di diagnosi clinica nei primissimi giorni, è proprio l’aspecificità dei sintomi iniziali: questo tipo di segno è visibile solo in meno della metà dei pazienti, mentre i sintomi principali sono diarrea e vomito, e talvolta anche un singhiozzo persistente.
La patologia: come agisce? (dal sito dell’Iss)
L’infezione ha un esordio improvviso e un decorso acuto, l’incubazione può andare dai 2 ai 21 giorni (in media una settimana), a cui fanno seguito manifestazioni cliniche come febbre, astenia profonda, cefalea, artralgie e mialgie, iniezione congiuntivale, faringite, vomito e diarrea, a volte esantema maculo-papuloso. I fenomeni emorragici sia cutanei che viscerali, compaiono in genere al sesto-settimo giorno e sono fatali nel 60-70% dei casi. Si tratta di sanguinamenti a carico del tratto gastrointestinale (ematemesi e melena) e dei polmoni. Si accompagnano a petecchie, epistassi, ematuria, emorragie sottocongiuntivali e gengivali, meno-metrorragie. Non è chiaro quali meccanismi individuali consentano il superamento della malattia, anche se nei soggetti deceduti è descritta una risposta immunitaria sufficiente al momento del decesso.
Non esistono test commerciali disponibili per la diagnosi. Nei primi giorni la conferma del caso si ottiene con l’isolamento del virus (la viremia persiste per 2-3 settimane) attraverso l’inoculazione in colture cellulari di un campione di sangue. Accanto al prelievo di sangue, che comporta un rischio biologico elevato per l’operatore, l’esame può essere condotto anche su altri liquidi corporei (saliva e urine), con invasività minore e probabilità inferiore di esposizione al contagio.
In più non esistono interventi specifici. La terapia è sintomatica. In particolare, vanno controllati e trattati l’equilibrio idro-elettrolitico, l’ossigenazione, la pressione arteriosa e le eventuali sovrainfezioni.
Laura Berardi
01 agosto 2012
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