Duchenne. Dalla terapia genica alla terapia cellulare: ecco le prospettive
02 DIC - Dalla terapia farmacologica, all'approccio genico fino alla terapia cellulare, ecco tutte le nuove strategie per combattere la distrofia di Duchenne, illustrate dall'Osservatorio Malattie Rare, in collaborazione con Parent Project Onlus.
La terapia genica mira ad agire direttamente sul danno genetico. Per questo scopo sono state ideate molecole innovative progettate per effettuare complesse “operazioni molecolari” mirate al ripristino, totale o parziale, della funzionalità della distrofina all’interno delle cellule muscolari.
Attualmente l’unica molecola basata sulla terapia genica che abbia ricevuto autorizzazione al commercio in Europa è stata sviluppata da PTC Therapeutics, una società biofarmaceutica americana. Si tratta di una piccola molecola, denominata
ataluren, che interviene sui meccanismi molecolari coinvolti nella lettura dei geni e nella loro traduzione in proteine. Ataluren
agisce esclusivamente sulle mutazioni ‘nonsenso’, variazioni nel gene che causano l’interruzione anticipata della lettura del gene stesso e quindi la non funzionalità della distrofina. Il primo studio clinico con ataluren è stato avviato nel 2008 e lo scorso ottobre sono stati annunciati i risultati positivi di uno studio clinico di fase 3 su 228 ragazzi affetti da DMD. Nel 2014 ataluren aveva già ottenuto l’autorizzazione condizionale all’immissione in commercio dall’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) per l’uso nei pazienti DMD deambulanti, con mutazione nonsenso, dai cinque anni in su.
Un limite in questo tipo di approcci risiede nel fatto di essere mutazione-specifici, ovvero possono essere applicati solo ad alcune mutazioni ben precise e quindi a una limitata percentuale di pazienti affetti da DMD.
Diversa è la
strategia dell’exon skipping,tradotto letteralmente come “salto dell’esone”. Quando una mutazione cambia lo schema di lettura del gene della distrofina non vi è più la produzione della proteina funzionale e ciò causa l’insorgenza della DMD. Il corretto schema di lettura può essere ristabilito eliminando direttamente uno o più esoni (parti del gene) corrispondenti alla regione in cui è presente la mutazione. Alla fine di questa “operazione molecolare”, la distrofina prodotta sarà più corta del normale ma, se il pezzo eliminato non corrisponde a una regione cruciale, la proteina potrà ancora svolgere la sua funzione muscolare. Il primo studio clinico sull’exon skipping è stato avviato nel 2006 e oggi sono diversi i gruppi di ricerca e le aziende farmaceutiche e biotech, tra cui Biomarin e Sarepta Therapeutics, che si stanno impegnando su questo fronte. Al momento, le molecole più promettenti in questo campo sono
drisapersen ed eteplirsen, entrambe in fase 3 di studio clinico e per le quali sono già iniziate le richieste per l’iter autorizzativo per l’immissione in commercio. La terapia basata sull’exon skipping non può essere considerata una cura vera e propria, piuttosto un modo per convertire la distrofia di Duchenne in quella di Becker, ovvero un modo per ridurre la gravità della distrofia.
La terapia cellulare
Il presupposto di partenza è di fornire direttamente all’organismo cellule staminali in grado di generare cellule muscolari sane con la conseguente produzione di distrofina funzionale. In questo campo, uno degli studi più avanzati a livello internazionale è quello italiano portato avanti dal Prof.
Giulio Cossu. La sperimentazione clinica, avviata nel 2011, rappresenta il primo tentativo al mondo di trapianto eterologo di cellule staminali su pazienti DMD (le staminali vengono prelevate da un donatore sano immunocompatibile e iniettate nel paziente). La ricerca è basata sull’utilizzo dei mesoangioblasti, particolari cellule staminali normalmente associate ai vasi sanguigni e capaci di rigenerare il tessuto muscolare danneggiato e ripristinare la sua funzionalità
. Lo studio clinico, di fase 1/2, è stato condotto su 5 pazienti DMD e ha dato buoni risultati. Questa strategia terapeutica è molto interessante ma ha degli svantaggi. Innanzitutto, trattandosi di un trapianto eterologo i mesoangioblasti devono essere prelevati da un donatore immunocompatibile, in secondo luogo ciò richiede di fare sul paziente una terapia immunosoppressiva per tutta la vita. Per superare quest’ostacolo, uno studio di ricerca di base sta puntando a una strategia che combini tecniche di terapia genica con l’utilizzo di cellule staminali muscolari. L’idea è di effettuare un trapianto autologo utilizzando le cellule staminali del paziente stesso corrette geneticamente con il gene della distrofina.
Il punto di forza della terapia cellulare è la sua universalità,
non è mutazione-specifico ed è potenzialmente applicabile a tutta la popolazione Duchenne.
Laterapia farmacologica
Questo filone di ricerca clinica raggruppa tutta una serie di approcci diversi che hanno come obiettivo finale quello di sviluppare delle molecole, viste come moderni farmaci biotech, che possano combattere il processo infiammatorio e degenerativo della Duchenne. Questi nuovi farmaci sono ideati per sostituire, o limitare, l’impiego dei corticosteroidi la cui assunzione determina effetti collaterali spesso importanti.
In quest’ambito una scommessa tutta italiana è rappresentata da givinostat, un inibitore delle istone deacetilasi (HDAC), che permette al tessuto muscolare di rispondere al danno provocato dalla Duchenne con un meccanismo rigenerativo in grado di ridurre il processo d’infiammazione e di fibrosi tipico della patologia. Givinostat è una molecola sviluppato dall’azienda farmaceutica italiana Italfarmaco e l’idea di puntare su un inibitore delle istone deacetilasi nasce da anni di ricerca di base condotta dal team di Pier Lorenzo Puri. Un esempio di ricerca traslazionale italiana di eccellenza.
Givinostat ha superato positivamente una sperimentazione clinica di fase 2 e sulla base di questi risultati Italfarmaco sta progettando un nuovostudio clinico da condurre a sostegno di una domanda di autorizzazione del farmaco.
02 dicembre 2015
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